Nel dubbio racconta #4 – Dal Vangelo secondo Matteo
Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli

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È una storia pochissimo conosciuta, quella dei Fusgeyer, i “camminatori“. La diaspora ebrea dell’Ottocento, quando in alcune nazioni europee, in specie la Romania, fu loro vietato di esercitare qualsiasi professione e mestiere. Karl Mandel’štam, che ne fu in qualche modo il portavoce, disse: “o otteniamo diritti umani decenti, oppure dobbiamo andarcene, dovunque ci porti il nostro sguardo“.

Lo sguardo era rivolto all’America del Nord e all’America del Sud. I paesi al di là dell’Atlantico che parevano, e non solo per gli ebrei, la nuova “terra promessa“.

Così, a decine di migliaia, in lunghe colonne, a piedi, si avviarono, risalendo la penisola balcanica, verso le frontiere dell’Austria-Ungheria. Lasciarono i loro paesi cantando la canzone che diceva: “Va’, piccolo ebreo, nel vasto mondo; in Canada ti guadagnerai da vivere“.

Il cammino era lungo: l’impervio passo di Prislop sui Carpazzi, Vienna, Praga, la Germania, i porti della Francia per imbarcarsi per il nuovo mondo. Le guardie di frontiera li inseguivano per rimandarli indietro, in molti villaggi erano accolti a fucilate, nella puszta ungherese gruppi di banditi a cavallo li derubavano dei pochi beni. Ma trovarono anche molta solidarietà: “contadini poveri li aspettavano sulle mulattiere portando loro latte e pane“.

Le partenze avvenivano di solito in primavera. Il viaggio era difficile, si incontrava di tutto: contrabbandieri, assassini, violentatori. I viaggiatori si accampavano dove potevano, nelle radure, lungo il corso dei fiumi, sulle strade. Ogni partenza lacerava le comunità. Ogni persona che partiva era come se morisse per i parenti e gli amici. Ma l’America era un mito e le notizie che arrivavamo da oltre oceano raccontavano di un paese dalle mille possibilità, una specie di terra promessa. Troppo forte la povertà, la miseria, le repressioni che subivano nel vecchio continente per non essere attratti da una nuova sfida. Tornare ad essere un popolo errante, ricominciare da capo dall’altra parte del mondo.

I “camminatori” risalivano le strade balcaniche, percorrevano le steppe e le pianure del nord, recitavano il kadish e seppellivano i loro morti. Camminavano, in segno di rispetto, portando le bandiere dei paesi che attraversavano. Se trovavano una via bloccata dalle avversità naturali o dalle guardie ne cercavano altre, aprendo nuovi percorsi in Europa. Tante famiglie si persero, molti genitori e figli si divisero per sempre. Pochi si fermarono per strada. Dopo i Carpazi, la pianura pannonica o quella serba, le montagne bosniache e croate fino al porto di Trieste. Oppure il corso del Danubio verso Budapest, Bratislava.

I “camminatori“, seppur il viaggio durasse mesi, portavano con loro lo stretto necessario per raggiungere i moli atlantici, del Mediterraneo o del mar del Nord. E i ricordi della vita passata divisi con chi era rimasto a casa: una foto, un libro, una ciocca di capelli, la promessa di tornare.  Pochi la mantennero.

I “camminatori” proseguirono a camminare fino allo scoppio della grande guerra. Come se si compisse la leggenda dell’ebreo errante, del ciabattino giudeo che, vedendo Gesù fermarsi un attimo per stanchezza mentre saliva il Calvario con la croce in spalla disse: “Muoviti, vai più in fretta.” Gesù profetizzo: “Io vado al Calvario, ma tu camminerai fino al giorno del mio ritorno.”

Datemi le vostre stanche, povere, / masse affollate, bramose di vivere libere, / i miserabili rifiuti della vostra miserabile costa. / Mandatemi questi, i senza casa, tempesta scagliata contro di me, / io innalzo la mia fiaccola accanto alla porta d’oro”.

Sono i versi della poetessa Emma Lazarus, poetessa proveniente da una ricca famiglia di ebrei sefarditi portoghesi, che nel 1903 furono aggiunti ai piedi della Statua della Libertà. Lo stesso anno in cui giunse dalla Romania il piroscafo “La Champagne” carico di ebrei e di speranze.

In “La sorella bugiarda” è Janice Steinberg a raccontare dei Fusgeyer attraverso la storia della sua famiglia. Gli americani non furono contenti di quella mezza invasione di ebrei di origine rumena. Il segretario di stato di Abramo Lincoln, Jhon Milton Hay, indirizzò una protesta formale al governo di Bucarest per come venivano trattati gli ebrei in quel paese. Era anche un modo per dimostrare ai cittadini americani che il governo non subiva inerme quell’arrivo eccessivo di richiedenti asilo. Gli stessi ebrei americani, specialmente quelli di origine tedesca, consideravano i nuovi arrivati rozzi, ignoranti, dei disperati.

Eppure, i Fusgeyer, gli ebrei camminanti, continuarono a mettersi in moto, ad attraversare montagne, vallate, a guadare fiumi. Continuarono a sognare se non per loro per i loro figli o per i loro nipoti un futuro diverso. Non tutti arrivarono negli Stati Uniti d’America. I bastimenti che partivano dai porti europei attraccavano anche nel sud del nuovo continente: Buenos Aires, Montevideo. Nella capitale argentina si costituì così la più grande comunità ebraica dell’America Latina e una delle più grandi al mondo.

E così, ancora una volta, la figura dell’Ebreo errante esce dalla leggenda per diventare cruda e atroce realtà.

 

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