Il 2 settembre del 1980 due giornalisti italiani escono di buon mattino dall’Hotel Triump, situato nella zona ovest di Beirut. L’Hotel Triump è più modesto del lussuoso Hotel Bristol che sta a pochi passi di distanza ma ha una caratteristica che lo rende interessante agli occhi dei giovani libanesi: il sabato sera si tiene una serata con un DJ che manda i pezzi musicali del tempo, a partire dal famoso “Staying Alive” dei Bee Gees. Agli occhi dei giovani libanesi e dei figli della abbastanza numerosa comunità straniera, molti italiani, della capitale libanese. Jeans a zampa di elefante, magliette colorate, capelli sistemati dal famoso parrucchiere del Garden City Hotel. Non serve carta d’identità per entrare. Nella cave ci sono alcune sedie ma soprattutto tanto spazio per ballare ai ritmi della Disco Music che impazza ovunque. Ma la mattina del 2 settembre del 1980, quando Graziella De Palo e Italo Toni escono dal Triump Hotel, la Cave non esiste più. Sono ormai cinque anni che il Libano è precipitato in una drammatica guerra civile. Gli stranieri poco alla volta se ne sono andati. I figli della Beirut bene ormai stanno all’estero. La popolazione rimasta ha poco da divertirsi.
Graziella De Palo e Italo Toni, che oltre colleghi sono legati anche da un rapporto sentimentale, si trovano in Libano per raccontare la drammatica situazione dei rifugiati nei campi profughi palestinesi ma anche per cercare prove su un presunto traffico d’armi fra il nostro paese e l’ex Svizzera del Medioriente. In più, secondo qualche testimone locale, Graziella De Palo si sta interessando anche alle possibili connessioni fra il terrorismo palestinese e la strage di Bologna. Graziella De Palo ha solo 24 anni ma alle spalle un già considerevole curriculum: ABC, Quotidiano Donna, L’Astrolabio. L’accuratezza delle sue inchieste colpisce l’allora direttore di Paese Sera Giuseppe Fiori che la vuole al suo giornale affidandogli incarichi importanti. Italo Toni, invece, è già un giornalista free lance sempre alla ricerca di colpi sensazionali. Ha al suo attivo servizi comparsi su molte riviste e quotidiani italiani. Anche lui collabora con Paese Sera. I due hanno appena pubblicato un libro su Ernesto Che Guevara.
De Palo e Toni sono arrivati a Beirut via Damasco con un nulla osta dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. A Beirut alloggiano appunto al Triump Hotel detto da molti come di proprietà dell’Olp. Quasi subito si lamentano dello scarso interesse per le visite che vengono loro proposte. Litigano con il responsabile dell’Ufficio Stampa dell’OLP e decidono di rivolgersi al Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, una delle tante componenti dell’Olp, legata a una ideologia marxista leninista ma anche l’unica che, invece della distruzione di Israele, propugna uno stato unico di Palestinesi ed Ebrei, naturalmente su basi socialiste. Quel 2 di settembre, probabilmente su un mezzo offerto dal FDLP, partono per il castello di Beaufort, l’ultimo avamposto palestinese prima della linea del fuoco con gli israeliani. È l’unico indizio certo, assieme alla frase che Italo Toni rivolse il giorno prima al capitano Cantatore che, con il consigliere Tonini, aveva ricevuto la copia negli uffici dell’Ambasciata italiana di Beirut: “Se non torniamo fra tre giorni cercateci”.
Pochi elementi, ma molto chiari. Sono i giorni, i mesi, gli anni che vengono dopo a rendere i fatti incerti, a mischiare le carte, mentre i nostri due connazionali sono diventati fantasmi. Lo sono ancora, dopo 44 anni dalla loro scomparsa. Nella storia compaiono, in forme e responsabilità diverse, molti politici della Prima Repubblica, da Pertini a Forlani, da Colombo a Malfatti. E poi, come è logico e rituale gli uomini dei Servizi e i Grand Commis di Stato: Giuseppe Sansovito, Umberto Vattani, Bruno Bottai, Stefano Giovannone, Giovanni Migliuolo e tanti altri.
Depistaggi, promesse, minacce, come sempre. Ma una storia in particolare va raccontata perché rende la complessità della vicenda e i risvolti inquietanti della stessa. Partiamo dalla frase del colonnello Giovannone detta ai familiari di Graziella: “per la liberazione di vostra figlia stiamo preparando un bello scenario”. Qui entra in scena tal Edera Corrà, una semplice giornalista di una rivista di cucina di Milano, ma molto legata ad esponenti della massoneria. È il 4 ottobre quando la giornalista arriva a Beirut con l’incarico da parte della stessa massoneria di intervistare Bechir Gemayel, capo dei falangisti, in procinto di diventare Presidente del Libano. La Corrà prende una stanza all’Hotel Montemare, ubicato nella zona falangista.
Allora come oggi gli alberghi a Beirut hanno qualche caratteristica particolare. Se il Triump Hotel era vicino all’OLP, l’ Hotel Montemare è sicuramente sede del Mossad (i servizi segreti di Israele). Edera Corrà firma il registro delle presenze col nome di Graziella De Palo. Vuol dire che ha dei documenti falsi intestati alla giornalista sparita, oppure che non le controllano il passaporto? Sta di fatto che le timide ricerche della polizia libanese attestano solo che le pagine del registro dell’albergo dei giorni in cui la Corrà vi dimora sono sparite. La giornalista romana ripete con Gemayel lo scambio di persona. Anche qui la domanda di intervista riporta il nome di Graziella. Poi telefona all’ambasciata italiana di Beirut e alla redazione di Paese Sera. “I corpi di Graziella e di Italo, dice, sono all’obitorio di Beirut.” Ma nelle celle mortuarie ci sono sei cadaveri, due donne e quattro uomini tutti di origine araba. Messa alle strette dai giudici italiani, la Corrà prima si difende dicendo che sono stati soltanto equivoci, poi affermando di voler cercare un po’ di notorietà. Più probabile, si scoprì col tempo, che la massoneria, in particolare la Loggia P2 avesse inviato la Corrà a Beirut col compito preciso di capire cosa avessero scoperto i due giornalisti scomparsi sul presunto traffico d’armi fra Italia e Libano, traffico a cui la P2 non era estranea.
Bisogna aspettare gli anni duemila perché la scomparsa di Graziella De Palo e Italo Toni ritorni alla ribalta. Ci prova il programma “Chi l’ha visto” nel gennaio del 2006. Poi intervengono Gianni Alemanno, allora sindaco di Roma e Francesco Rutelli, allora presidente del COPASIR. Nel 2007 Amedeo Ricucci curerà per il programma di Gianni Minoli “La storia siamo noi” un documentario su questi fatti molto dettagliato ed accurato.
Prima il Governo Berlusconi nel 2006, poi quello Meloni, hanno desecretato tutti (?) i documenti relativi alla sparizione di Graziella De Palo e Italo Toni, ma da quelle carte sono emersi particolari interessanti sui rapporti fra l’Italia e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina fra il Settanta e il Novanta del secolo scorso ma nulla che possa fare luce sul caso dei due giornalisti italiani scomparsi in Libano il 2 settembre del 1980. Come sempre, ci sono archivi più segreti di quelli di Stato, pochi sanno dove sono e forse nessuno ha interesse ad aprirli.