Nel dubbio racconta #2 – Nell’inferno della Russia di Stalin
La storia di Emilio Guarnaschelli - militante comunista

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Nella Masutti è una ragazzina di appena diciassette anni quando, nella primavera del 1935, si presenta all’ingresso dell’Hotel Lux di Mosca con due lettere per Palmiro Togliatti. L’hotel Lux è un imponente edificio sulla via Gorky, una casa albergo ove vivono, celando la loro vera identità, i più importanti leader del movimento comunista internazionale, da Dolores Ibarruri a Dimitrov, da Ho Chi Min a Tito. Le speranze suscitate dalla Rivoluzione russa si erano ben presto infrante contro i regimi di destra che si andavano consolidando in Europa, in Asia, in America Latina. Perseguitati, i dirigenti comunisti avevano due strade, o entrare nell’illegalità o cercare di raggiungere il paese dei Soviet operai, la “casa madre” come i più chiamavano l’URSS.

Palmiro Togliatti occupa la stanza 110. A Mosca è giunto una prima volta con tutta la famiglia, nel 1926 come capo delegazione del Partito Comunista Italiano al VI Plenum dell’Internazionale Comunista. Dopo diversi periodi passati in Francia, Svizzera e Spagna, il compagno Ercoli, nome in codice di Togliatti, si stabilirà definitivamente a Mosca nel 1934.

Nella Masutti sa poco delle vicende che scuotono il movimento internazionalista, dello scontro con Trozky, delle purghe staliniane. Sa però che per l’uomo che ama è disposta a tutto. A fuggire dalla casa dei genitori, trasferitisi anch’essa a Mosca in quanto il padre era ricercato dalla polizia italiana per l’omicidio di un fascista, a chiedere aiuto a uno dei comunisti più importanti e potenti, a raggiungere il suo compagno in uno sperduto paesino della Siberia, dove è stato deportato, e a vivere con lui una vita al limite della sopravvivenza.

Emilio Guarnaschelli, classe 1911, professione operaio ma, soprattutto, comunista e rivoluzionario. Nella Torino antifascista, fin da ragazzo Emilio fa il suo apprendistato politico e ideologico. È determinato, convinto delle idee del partito, fa lavoro clandestino.   Deve andarsene dall’Italia nel 1931, a soli vent’anni, per non essere denunciato al Tribunale Speciale. Grazie ai contatti di alcuni compagni della Barriera Milano, il quartiere in cui viveva a Torino, raggiunge prima Parigi, poi Bruxelles da dove viene espulso per la sua militanza nel Soccorso Rosso Internazionale. Finalmente giunge a Mosca nel 1933. L’Urss di quegli anni è il sogno di ogni attivista comunista, il paese dove governano i lavoratori e si costruisce l’eguaglianza sociale. E il giovane Guarnaschelli vi arriva con lo stesso entusiasmo e la determinazione a fare la sua parte per edificare il socialismo. Il sogno si infrange ben presto.

Responsabile degli esuli italiani in Russia è Giovanni Germanetto, figura storica del partito comunista italiano, che, come Guarnaschelli, proviene dal Piemonte. I rapporti fra i due, e fra Guarnaschelli e la comunità degli esuli italiani a Mosca, si deteriorano subito. Non vi è un motivo concreto, ma la critica serrata che Emilio porta al comunismo sovietico, particolarmente allo stalinismo, lo mette in cattiva luce.

In esilio ho raddoppiato la mia esperienza e mi sono doppiamente convinto che la mia posizione è giusta. Opposizione radicale, pronto a stendere la mano, però, quando si tornerà alla vera via leninista, pronto anche, per il bene e nell’interesse del proletariato mondiale, a dimenticare il terrore che oggi costì vi regna. Cessato questo Termidoro accetterò anche di domandare scusa. Oggi guerra alla guerra“: così scrive in una lettera di quel drammatico 1934 al fratello Mario, rimasto a Torino. Mario non riesce a capire le lettere di Emilio, le cose che lui dice, le critiche feroci alla nazione che, per dirla come Gramsci, “aveva fatto la rivoluzione contro Marx“.

Ma Emilio Guarnaschelli insiste: “io accuso“, ribadisce in più lettere a Mario. Posizioni che non rimangono oscure e quando ormai profondamente deluso di ciò che vede nel paese del socialismo chiede indietro il passaporto a Giovanni Germanetto questi glielo nega.

Nel dicembre del ’34 viene ucciso Kirov da Leonid Nikolaev, giovane militante comunista vicino alle posizioni di Kamenev, Zinov’ev e Trockij. È il periodo più duro del regime che sfocerà nei processi del 1936, condotti con pugno di ferro, in qualità di procuratore generale, da Andrej Januar’evič Vyšinskij. Le grandi purghe colpiranno famosi dirigenti della rivoluzione del diciassette a partire proprio da Kamenev e Zinov’ev.

Prima di loro vengono perseguitati personaggi minori, per creare un clima di terrore. A volte sono le stesse comunità di esuli a denunciare i connazionali che “sbagliano”.

Così è per Emilio Guarnaschelli. Prima perde il lavoro e gli viene tolta la tessera per gli approvvigionamenti alimentari, quindi arrestato il 2 gennaio del ‘35, ventiquattro anni ancora da compiere. Processato con rito direttissimo viene condannato a tre anni di internamento per propaganda controrivoluzionaria prima ad Arcangelo nell’Oblast, allo sbocco della Dvina nel Mar Bianco, poi a Pinega, nello stesso distretto. Qui lo raggiungerà Nella Musatti. I due ragazzi si sposeranno e divideranno un solo anno di vita in comune. Un anno di privazioni tremende, ridotti a mangiare erba e foraggio.

Nella prenderà questa decisione estrema proprio dopo l’incontro con Togliatti all’Hotel Lux, stanza 111. Il Migliore è intento a scrivere un documento. Forse ascolta Nella, forse non la ascolta neppure.  Dopo lunghi minuti prende le due lettere che la ragazza ha con sé. La prima è del fratello Mario. Una supplica al capo dei comunisti italiani perché aiuti Emilio. La seconda di Nella inizia con “non sono abituata a mentire al partito“. Togliatti lascia sfogare la ragazza e poi le dice “scrivi bene per la tua età“.

Nella capisce che il compagno Ercoli non farà nulla e decide di raggiungere il suo uomo nella Siberia estrema. E la realtà diventa una struggente storia d’amore di due giovani, vissuta al limite del mondo.  Una storia di un anno, poi nel 1936 Nella viene riportata a Mosca ed Emilio sparisce nel tunnel del terrore staliniano. La ragazza avrà sue notizie solo nel 1942, a Istanbul. È una missiva ufficiale da Mosca che la informa che Emilio Guarnaschelli era stato fucilato nel lager di Kolyma. “Non mi piego davanti a nessun dio rosso” aveva scritto in una lettera al fratello. E così era stato.

La storia di Emilio Guarnaschelli è una delle tante che si compirono durante quella che Victor Serge, esponente di spicco del partito bolscevico e poi del dissenso vicino alle posizioni di Trozky, definì “la mezzanotte del secolo“.

Controrivoluzionario Trozkista/Bordighista” era la dicitura della condanna, il cui acronimo suonava KRTD. La pena certa, anni di carcere nei gulag, lavori forzati, condizioni di vita al limite dello stremo. E per gli irriducibili la fucilazione.

Quanti furono gli italiani comunisti che vennero perseguitati sotto la dittatura di Stalin? Difficile stabilirlo. L’emigrazione nella “Russia dei soviet” molte volte avveniva in modo clandestino. Il partito comunista italiano, quando aprì finalmente gli archivi agli storici, disse circa un centinaio. Ma storie e racconti raccolti da studiosi e ricercatori fanno alzare il numero a una cifra vicino agli 800. Quasi duecento furono fucilati. Uccise più comunisti italiani la Russia di Stalin che l’Italia di Mussolini. E non vogliamo dimenticare i comunisti di altri paesi, prima fra tutti la Germania con quasi 400 vittime.

Alcuni di loro riuscirono a tornare dall’internamento. È il caso, fra gli altri di Clementina Perrone e di Dante Cornelli. Classe 1894 la prima, classe 1900 il secondo. Da giovanissima Clementina si iscrive alla gioventù socialista, poi, divorziando dal primo marito, raggiunge a Mosca Giovanni Parodi, il suo nuovo compagno. Viene arrestata una prima volta nel 1938, grazie anche a una lettera di delazione di Elena Montagnana, moglie di Paolo Robotti, anch’esso finito nelle prigioni di Stalin. Clementina Parodi viene reclusa, dopo aver subito torture, nel carcere di Butyrka con l’accusa di aver aiutato compagni italiani colpiti dalle purghe staliniane. Vi rimarrà per alcuni mesi. Un nuovo arresto, con l’accusa di non ben definiti “atti controrivoluzionari” la colpirà di nuovo nell’agosto del 1940. La pena, che sconterà per intero è di sette anni, a Karaganda. Finito l’internamento e mandata al confino ad Aleksandrov. Qui viene di nuovo arrestata. Questa volta le accuse sono di propaganda antisovietica e sospetto spionaggio. Finisce alla Lubjanka  e deportata a vita a Igarka nella Siberia nord-occidentale. Per cinque anni è cassiera al bagno pubblico. Lascia il gulag nel 1954 ma sopravvive a fatica con una pensione di 800 rubli. Finalmente ottiene il passaporto nel 1957 e il 7 gennaio del 1958 rientra in Italia. Inizia a collaborare con l’associazione Italia Urss di Torino, ove muore per tumore nel 1965.

Dante Cornelli invece, fra confino obbligato e gulag, sconta 24 anni.  Ferisce a morte il segretario del fascio di Rivoli, fugge dall’Italia e arriva a Pietroburgo inserendosi nella emigrazione italiana. Da subito si oppone a Stalin e dopo alterne vicende viene arrestato nel 1936 e deportato nel campo di Vorkuta, oltre il Circolo Polare Artico. Viene liberato nel 1946 ma rimane al confine fino al 1948. Nel 1949 è di nuovo inviato, con tutta la famiglia, a Igarka in Siberia. Nel 1960 riesce a stabilirsi in Ucraina e poi, grazie anche all’aiuto di Terracini, rientra in Italia abbandonando la famiglia in Russia. Comincia un’opera di denuncia dello stalinismo e delle persecuzioni inflitte a tanti comunisti. La sua opera, “Il redivivo Tiburtino”, dopo esser stato rifiutata dalla Rizzoli, dalla Mondadori e dalla Rusconi, esce, grazie ancora all’aiuto di Terracini, per le edizioni La Pietra, collegate a Pietro Secchia. Ma la sua denuncia non ha eco. Il partito rimane indifferente. Le sue pesanti accuse a Togliatti, Robotti e Vidali cadono nel nulla. Morrà nel 1990 con un partito che, seppur abbia già cambiato nome grazie ad Achille Occhetto, non vuole ancora aprire gli armadi e svuotarli dai tanti scheletri che li abitano, primo fra tutti quello di Palmiro Togliatti. Sul ruolo del Migliore, sui suoi silenzi, ancora la storiografia deve fare chiarezza.

L’oblio, invece, su Emilio Guarnaschelli, lo hanno rotto il fratello Mario e la moglie Nella. Nella riuscirà a pubblicare, in Francia nel 1979, la raccolta delle lettere del marito, sotto il titolo “Una piccola pietra”. Per l’edizione italiana dovrà aspettare altri tre anni.

Il fratello Mario non ha smesso, fino alla sua morte, di chiedere giustizia ai dirigenti di quel partito di cui Emilio si sentiva parte integrante. Silenzio totale di Togliatti, imbarazzo degli altri dirigenti, anche quando ormai lo strappo con Mosca era una realtà acquisita. Solo una telefonata da Occhetto e nulla più.

Emilio Guarnaschelli merita di essere ricordato con le parole di un altro “smarrito” nei lager della Sibera, Osip Mandel’stam: “Secolo mio, mia belva, chi saprà fissare lo sguardo nelle tue pupille?”

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