Per capire l‘attivismo del premier ungherese Viktor Orban di questi ultimi giorni dobbiamo tornare indietro di qualche mese. È l’8 marzo e nella residenza di Mar a Lago, a Palm Beach in Florida, Orban incontra Donald Trump. Incontro che non ebbe molto risalto. Ai più, il meeting nella suntuosa villa del candidato repubblicano alla Casa Bianca, parve un normale viaggio di rappresentanza fra due esponenti di un fronte sovranista che si sono sempre stimati. “Fonti ben informate“, come si usa dire in queste occasioni, fecero invece notare, che in quell‘occasione, probabilmente Trump consegnò a Victor Orban il suo piano di pace per l‘Ucraina. Un vero piano di pace o solo alcune ipotesi di ragionamento non è dato sapere. Certamente la fine del conflitto ha bisogno più delle ventiquattro, quarantotto o settantadue ore, come continua a ripetere Trump, in caso di sua rielezione alla presidenza degli Stati Uniti. Ed ecco che il leader magiaro diventa lo strumento per cominciare ad arare il campo. Il contadino che lavora per il grande latifondista.
C‘è un altro fatto di cui si è tenuto poco di conto. Orban il 2 luglio, a sorpresa, si è recato a Kiev, incontrando Volodymyr Zelensky. Fra i due non corre buon sangue. Budapest prima aveva detto si all‘erogazione di 5 miliardi di aiuti all‘Ucraina per il 2024 a cui si aggiungevano 2,7 miliardi di euro dai proventi straordinari dagli asset russi bloccati per le sanzioni. Unica condizione posta che non andassero in aiuti letali, cioè in armi e altri strumenti bellici. Poi ne aveva bloccato l‘erogazione adducendo un “rischio per gli interessi nazionali ungheresi“. Una opposizione ormai sistematica da parte dell‘Ungheria visto che il 41% delle risoluzioni UE sull‘Ucraina sono state bloccate dal governo magiaro.
“Ho chiesto al presidente ucraino la possibilità di un cessate il fuoco”, che sarebbe “limitato nel tempo per consentire un avvio di negoziati di pace”, ha dichiarato Orban dopo l‘incontro del 2 luglio. E Zelensky, con l‘abituale fermezza, ha risposto: “di pace giusta si potrà parlare solo dopo il ritiro russo dai territori occupati “. Perché vedersi allora? E proprio il secondo giorno della presidenza ungherese dell‘UE? Su quel tavolo tondo che ha visto il confronto fra i due leader, con sullo sfondo la bandiera ungherese, quella ucraina e quella dell‘Unione è forse transitato il piano Trump? Piano, che in caso di vittoria del candidato repubblicano alla Casa Bianca, non potrà essere ignorato dal presidente ucraino. Se non altro perché lo stesso Putin, al vertice della Shangai Cooperation Organization (SCO) ad Astana, ha detto di prendere “seriamente” le parole di Donald Trump sul mettere fine al conflitto. Lo Zar del Cremlino ha poi aggiunto: “sono pronto, con la prossima amministrazione americana, a riprendere il dialogo”. Sottolineando come ritenga sincere le parole di Trump. Da qui prende il via quel tour de force di Viktor Orban, da emissario di alcune grandi e medie potenze più che da presidente di turno dell’Unione Europea.
Unione Europea che ancora una volta rimane al palo. La giusta fermezza contro l’aggressione russa dell’Ucraina non è però riuscita a scalfire minimamente il disegno politico di Putin, e forse di qualche altro. Non è riuscita a mettere in campo, in oltre due anni di guerra, neppure una timida iniziativa diplomatica. E ora non basta il coro che si leva da Bruxelles: “Orban non parla per noi”. L’eurocentrismo, ormai una piaga dell’Unione, non ha neppure la modestia di chiedersi per chi lavora il premier di Budapest. Ci si arrocca offesi e indignati lasciando l’iniziativa ad altri, in questo caso al “piccolo uomo della Pannonia”.
E allora c’è da chiedersi: chi rappresenta Orban? È bene farlo in tempo perché sullo sfondo ci sono tante sigle, tanti diversi raggruppamenti, tanti assi nuovi di alleanze che puntano diretti alla rappresentanza sulla scena mondiale per ora troppo “arrogantemente” trincerata nel club esclusivo dei G7.