Tra le narrazioni più affascinanti della storia dello sport, figurano indubbiamente quelle relative alle prime edizioni dei giochi olimpici.
Da un lato infatti, la creazione del barone De Coubertin – oltre alle suggestioni connesse al recupero dell’ideale classico dei giochi – introduce una novità dirompente per il panorama ancora pionieristico dello sport dell’epoca, legata alla possibilità di un confronto internazionale tra i vari atleti; dall’altra però, molti episodi di quei primi decenni di vita dei giochi, mescolano alla dimensione internazionale della competizione, un’idea di sport che oscilla fra la sagra paesana dell’organizzazione e gli echi mitologici della rappresentazione delle le gesta.
Evidentemente, risulta particolarmente epica ed insieme curiosa la cornice che circonda la prima edizione dei giochi, quelli di Atene 1896, quando prende l’avvio la storia olimpica moderna e, tutto sommato, anche la storia di tutto lo sport moderno.
Una delle storie emblematiche di questa prima edizione riguarda proprio l’Italia: a lungo, gli storici hanno supposto che l’Italia non avesse avuto alcun rappresentante al via ad Atene, ma approfondimenti successivi hanno permesso di appurare la presenza nel tiro a segno di Giuseppe Rivabella, partecipante alla gara di carabina militare, nella quale non figura classificato nei primi 12, in quanto non qualificato per la finale (per le prime edizioni delle olimpiadi disponiamo infatti solo in rare occasioni della classifica completa).
La ragione di tale incongruenza è da ricondurre al fatto che nelle edizioni iniziali delle olimpiadi, gli atleti potevano iscriversi, oltre che come componenti diretti delle rappresentative nazionali, anche individualmente o in rappresentanza dei clubs di provenienza, per quanto considerati comunque rappresentanti dei propri paesi. Così, nel caso di Rivabella, la sua partecipazione è rimasta a lungo misconosciuta, poiché si trattava di un cittadino italiano già residente in Grecia da una quindicina d’anni dove, con la sua società aveva ottenuto delle importanti commesse per la costruzione di ponti e strade e pertanto decise di iscriversi privatamente alle competizioni olimpiche, avendo la federazione italiana rinunciato alla partecipazione per motivi di natura economica.
Da varie fonti risulterebbero iscritti anche altri atleti nel ciclismo, nel tiro a segno e nella scherma, che non sarebbero riusciti a partecipare o della cui partecipazione non si riesce ad individuare traccia, verosimilmente a causa dalla mancata presenza di una delegazione ufficiale italiana.
Tuttavia, se fino ad alcuni anni fa si pensava che l’olimpiade del 1896 non avesse visto al via alcun atleta italiano, è ben nota invece la vicenda dell’unico sportivo che si riteneva avesse tentato di prendere parte ai giochi: Carlo Airoldi, personaggio emblematico della cultura sportiva popolare dell’epoca.
Airoldi, ventiseienne di Origgio, in provincia di Varese, proviene da una famiglia di contadini poverissimi. Il suo fisico poderoso (120 cm.di torace e 45 di bicipiti) diviene presto una risorsa per riuscire in qualche modo a sbarcare il lunario, per cui accanto ai numerosi lavori con cui si prodiga per guadagnarsi da vivere, si cimenta in varie imprese sportive, soprattutto come podista (pur avendo un fisico del tutto anomalo per un corridore di lunghe distanze), ma anche come lottatore e sollevatore di pesi, alternando però anche tentativi al limite del fenomeno da baraccone, come prove di forza quali quella di farsi spaccare delle pietre sullo stomaco; si è ipotizzata a lungo anche una sua sfida contro Buffalo Bill ed il suo cavallo, tenutasi al Trotter di Milano o contro una biga romana, ma indagini più recenti hanno smentito quanto meno la prima, a quanto pare per la rinuncia dello stesso Bill.
Al di là di queste prove estemporanee è però un podista che si è già aggiudicato alcune delle corse più importanti nel panorama dell’epoca , quali ad esempio la Milano – Lecco, la Milano – Torino e soprattutto la Torino – Marsiglia – Barcelona, competizione a tappe internazionale di grande prestigio; le gare di corsa di lunga distanza del tempo sono infatti caratterizzate da percorsi in linea, anche di cospicuo chilometraggio e pertanto anche nelle forma di manifestazione a tappe, analogamente alle competizioni ciclistiche; tra l’altro, in un’epoca in cui il calcio è praticamente appena nato, i grandi sport popolari per antonomasia sono gli sport di combattimento – ovviamente in primis la boxe – le discipline della tradizione sferisterica (per quanto riguarda l’Italia parliamo del pallone elastico, del pallone a bracciale e della sua derivazione, il tamburello, specie nel centro-nord) e gli sport di fatica, quelli delle gare delle lunghe distanze a piedi o in bicicletta, caratterizzati dal fatto di attraversare le borgate popolari e quindi essere vissuti in prima persona dalle masse contadine.
La risonanza di queste gare, fa sì che spesso siano patrocinate da sponsors che offrono premi in denaro, attrattiva importante d’altro canto, per atleti che naturalmente sono per la maggior parte di estrazione popolare.
Proprio durante la Torino – Barcelona, Airoldi affronta due momenti che contribuiscono notevolmente ad arricchire la sua fama leggendaria: il primo, in seguito ad un rigonfiamento dei piedi che gli compare dalla decima tappa, ma che riesce comunque a superare, giungendo fino alla fine.
Il secondo è legato invece ad un tipico episodio a cavallo fa storia e mito, tipico degli eroi dello sport popolare dell’epoca: pare infatti, che durante l’ultima tappa dell’evento, a un chilometro circa dal traguardo, superi l’avversario diretto per la vittoria finale, il francese Ortègue ormai stremato, ma a pochi metri dal traguardo, voltandosi per constatare il distacco, vede il suo avversario a terra; a questo punto decide di tornare indietro, caricarsi l’avversario sulle spalle, riprendendo la sua corsa e tagliando per primo il traguardo urla alla giuria: «Io sono primo: l’avversario è con me, ed è secondo!».
Una delle novità introdotte con la creazione dei giochi moderni, grazie alla fervida inventiva del suo fondatore, il barone francese Pierre De Coubertin, è l’invenzione della competizione atletica della maratona che, che coniuga la gran voga che conoscono in questo periodo le gare podistiche di lunga distanza, con l’amore del nobile francese per la cultura classica, prendendo spunto (su suggerimento del linguista Michel Bréal) dalla figura di Fidippide narrata da Plutarco in una sua opera del I sec., messaggero dell’esercito ateniese che avrebbe percorso di corsa il tragitto dalla piana di Maratona ad Atene (circa 42 km.) per annunciare la vittoria dell’esercito ateniese sui persiani, morendo subito dopo per lo sforzo compiuto.
Airoldi è convinto di avere tutte le credenziali per poter ben figurare nella nuova competizione e non si arrende neppure di fronte alla decisione della federazione italiana di rinunciare all’invio di una delegazione ufficiale: sfruttando l’opportunità di iscrizione per i singoli, decide di recarsi comunque in Grecia, ma non disponendo di grandi mezzi finanziari, non riesce a raggranellare una cifra sufficiente giungervi direttamente via nave: per cui opta per una soluzione romanzesca, decidendo di percorre a piedi l’intero percorso da Milano ad Atene pari a 1.388 km. (cui si aggiunge l’itinerario in traghetto da Dubrovnik a Patrasso), attraverso l’Austria-Ungheria, l’Impero ottomano e la Grecia. Gli viene incontro parzialmente il periodico La Bicicletta, che gli fornisce l’appoggio logistico, in cambio delle corrispondenze quotidiane del suo viaggio.
La corsa prima della corsa di Airoldi, comincia il 28 febbraio da Milano (i giochi sono programmati all’inizio di aprile) per giungere ad Atene il 31 marzo, al termine di una serie di avventure rocambolesche, che emergono dalle sue cronache, come l’uccisione di tre lupi per difendersi da un’aggressione o la vicenda occorsagli a Spalato, dove viene convinto ad affrontare in una sfida di corsa un atleta locale e vince, ma viene rincorso dalla folla inferocita, che ha scommesso sul proprio corridore; o ancora, la ferita procuratasi alla mano a Dubrovnik, in seguito ad una caduta, frutto di due notti trascorse all’aperto per non aver trovato ospitalità.
In Dalmazia viene convinto ad imbarcarsi, onde evitare di attraversare l’Albania, sia per il pericolo dovuto alla presenza dei briganti, che per le pessime condizioni delle strade albanesi; infine una volta giunto a Patrasso, prosegue a piedi fino ad Atene, seguendo la linea ferroviaria, unica strada esistente.
Dopo quest’avventura estenuante, l’attenzione dell’atleta italiano è interamente concentrata sulla maratona olimpica, ma al momento dell’iscrizione, scopre di non poter essere ammesso, poiché gli viene contestato di aver guadagnato circa 2.000 pesetas in occasione della vittoria alla Torino – Marsiglia – Barcelona del 1895, il che naturalmente vìola la prescrizione rigida voluta de De Coubertin stesso sullo sport professionistico.
In realtà, come abbiamo visto, la prassi di elargire premi in denaro nelle manifestazioni sportive di maggior eco, è abbastanza diffusa, anche in virtù del fatto che trattandosi principalmente di attività sportive popolari, i premi in denaro hanno anche la funzione di incentivazione verso la pratica sportiva, per atleti che non dispongono di condizioni economiche floride; ma tutto ciò è lontano dalla concezione dello sport del barone De Coubertin, che diverrà un mantra nelle leggi del comitato olimpico, per tutti i primi cento anni di vita dei giochi, seppur, in seguito, con molte “tolleranze”.
Oltre al fatto che i premi in denaro per questo tipo di competizioni costituisca una consuetudine, Airoldi ha certamente dalla sua parte anche la giustificazione che essendo le olimpiadi appena state istituite, ovviamente anche le regole di condotta per gli sportivi sono appena state varate e di fatto nessun ente sportivo a parte il Comitato olimpico, riconosce alcuna differenza fra professionismo e dilettantismo; ma ciò nonostante, il comitato organizzatore dei giochi olimpici, presieduto dal principe ereditario Costantino, è irremovibile.
Fin dall’inizio della vicenda, appare peraltro chiaro come i greci tengano particolarmente a quest’evento per suo il fascino evocativo, per cui sicuramente le credenziali con cui Airoldi si avvicina all’appuntamento, inducono gli organizzatori ad approfittare dell’appiglio sulla polemica relativa ai premi per premere verso la sua esclusione, al fine di favorire gli atleti di casa. Fatto sta che, nonostante l’intervento dell’ambasciatore italiano in Grecia, Pisani Bossi, Airoldi viene inappellabilmente escluso dalle olimpiadi.
Airoldi, deciso comunque a gareggiare, si presenta alla partenza del 12 aprile e mischiandosi alla folla inizia a correre, ma un giudice lo blocca e gli impedisce di andare oltre per cui ad Airoldi non resta che sentire le urla dello stadio e lo sparo dei cannoni quando l’atleta di casa Spyridion Louis, taglia vittorioso il traguardo della prima maratona della storia. Per l’ardire di aver tentato comunque di gareggiare, Airoldi passa una notte in cella prima di ripartire verso casa.
È una mazzata incredibile per Carlo, che però affronta con grande dignità, tanto che di fronte all’offerta in denaro fattagli dai reali greci, affascinati dalla sua impresa per raggiungere Atene, risponde: “Gli atleti italiani non si vendono. Fui dilettante finora, dilettante povero. Non mendico oblazioni”.
Una volta rientrato in Italia, continua a primeggiare aggiudicandosi varie gare importanti e stabilendo diversi record: lancia una sfida al vincitore olimpico, che però non verrà mai raccolta. Prosegue anche a misurarsi nelle sue sfide “impossibili”, in giro per il mondo ed in seguito diviene direttore della società di atletica Voluntas e della fabbrica di biciclette Legnano, per poi infine emigrare in Sudamerica dove gareggia a lungo, rientrando successivamente in Italia; muore a Milano il 10 giugno del 1929.
Quella di Airoldi, sembrava una storia destinata a rimanere sepolta tra gli scaffali delle riviste sportive d’epoca e che invece ha mantenuto la sua eco fino ai giorni nostri, grazie a storici, giornalisti ed artisti affascinati dall’incredibile determinazione del corridore di Origgio; una vicenda che racchiude attorno a sé, la cornice di un’intera epoca storica e lo spirito di quei tempi leggendari, tanto che possiamo legittimamente parlare dell’impresa di Carlo Airoldi, come delle prime gesta olimpiche a tutti gli effetti dello sport italiano.
Per saperne di più
Per chi fosse interessato ad approfondire la figura e la vita di Carlo Airoldi, segnaliamo il bel libro di Gianni Agostinelli, Il trucco è resistere, edito da Piano B e pubblicato nel 2021. La vicenda di Airoldi ha anche ispirato un romanzo pubblicato nel 2014 ed autopubblicato da Manuel Sgarella.