L’altruismo procura quasi sempre la riconoscenza da parte di chi ne beneficia ma nel caso di Blaze Foley, pseudonimo di Michael David Fuller, è stato probabilmente la causa della sua morte avvenuta la mattina presto del primo giorno del mese di febbraio 1989 a South Austin. Figura imponente, alto quasi due metri, quando Foley viene assassinato ha 39 anni, è un cantautore poco conosciuto e ha pubblicato solo un singolo e un album distribuito per proprio conto. L’autore del delitto è Carey January il figlio tossicodipendente dell’anziano afroamericano Concho January con il quale Blaze Foley aveva stretto amicizia e che proteggeva dalle pressanti richieste di denaro di Carey. L’assegno della pensione appena ritirato in banca dal padre gli serviva per comprare la droga e fu proprio durante una colluttazione che dalla pistola di Carey partì il colpo che mise fine alla vita dell’altruista Foley. Nonostante la testimonianza di Concho, considerata poco attendibile, la giuria valutò l’accaduto in modo diverso da come si erano svolti i fatti, assolse l’assassino per legittima difesa e giudicò Foley un bullo minaccioso che si era intromesso in una disputa familiare. Qualche giorno prima del fattaccio, Foley era riuscito a partecipare alla registrazione del programma televisivo Austin City Limits e quando la trasmissione andò in onda diversi mesi dopo, la storia della sua morte violenta gli fece guadagnare più notorietà di qualsiasi altra cosa avesse fatto prima. La morte spesso rende ciò che è stato sottratto in vita.
Foley inizia a scrivere canzoni nel 1975 in Georgia dove si faceva chiamare Dep’ty Dawg e assume come modello John Prine che aveva pubblicato il suo primo album nel settembre 1971 ma è in Texas dove decide di buttarsi anima e corpo nell’attività esclusiva del songwriter anticonformista. Al tempo non ha una casa propria, dorme da amici o sui tavoli da biliardo dei pochi club dove gli permettono di esibirsi. Gran parte delle canzoni composte da Foley negli anni di vagabondaggio tra Austin e Huston sono andate perdute tuttavia rimane una valida testimonianza del suo lavoro nell’album LIVE AT THE AUSTIN OUTHOUSE composto da 12 tracce, registrate in quel bar di quartiere ormai chiuso nelle notti del 27 e 28 dicembre 1988 poco più di un mese prima della sua morte. Accompagnato da amici musicisti tra i quali spiccano il violinista Champ Hood e la cantante Sarah Elizabeth Campbell, Foley registrò i brani su delle semplici cassette che intendeva vendere con il passa parola e donare il ricavato a un rifugio per senzatetto. In realtà i modesti profitti servirono a pagare le spese del suo funerale, in un certo senso Foley è riuscito ad essere una spina nel fianco anche da morto. Se non ci fossero state ristampe e album tributo, la musica di Foley non sarebbe altro che un ricordo come già accaduto per un leggendario cantante blues morto senza essere mai stato registrato. In tutto Foley ha inciso tracce per quattro album: due di questi sono stati stampati e rapidamente finiti fuori catalogo, BLAZE FOLEY registrato nel 1983 in Alabama con i famosi Muscle Shoals Horns ha preceduto LIVE AT THE AUSTIN OUTHOUSE l’unico dei quattro di cui è stato possibile ritrovare i master.
Due eminenti personalità del cantautorato folk rock americano, Townes Van Zandt e Lucinda Williams, hanno entrambi reso omaggio a Foley dedicandogli rispettivamente Blaze’s Blues e Drunken Angel. Van Zandt ebbe un ruolo fondamentale nella vita di Blaze Foley quasi un plagio di personalità. Se una pistola non lo avesse ucciso, il suo stile di vita lo avrebbe condannato alla stessa morte prematura che colse Van Zandt il giorno di Capodanno del 1997 all’età di 52 anni. Lucinda Williams conferma: “Penso che Townes fosse il suo eroe e sfortunatamente ne ha romanticizzato lo stile di vita autodistruttivo e fuorilegge. Molti lo fanno a quella età ma lui lo ha portato oltre ogni limite“.
Autore onesto e irriverente, disposto a fare forti dichiarazioni politiche senza compromessi, sapeva guardare al centro della sua anima e raccontava senza pudore ciò che vi scopriva, spesso ubriaco, a volte drogato, Foley è stato per gli amici che lo conoscevano bene una contraddizione che camminava. L’amico “Lost John“ Casner, custode dei nastri originali, racconta di lui: “Era la musica che contava per Blaze. Penso fosse consapevole che se avesse voluto avrebbe potuto guadagnarsi da vivere scrivendo canzoni a Nashville ma non era ciò che intendeva fare. Quando viveva ad Austin non aveva un lavoro fisso, era un emarginato, dormiva dove capitava ma faceva le cose a modo suo e si divertiva“.
Gran bevitore, era brusco nei modi e se avesse ispirato amore e frustrazione tra i suoi amici, al contrario avrebbe suscitato rabbia negli altri. C’erano club che non lo tolleravano ed era piuttosto orgoglioso di essere stato cacciato dal Kerrville Folk Festival da Rod Kennedy e che poi, dopo essersi infilato un abito decente, era rientrato di nascosto. Aveva una mania smodata per il nastro adesivo che fissava sulla punta dei suoi stivali per prendere in giro i cowboy urbani che calzavano stivali con la punta argentata. Arrivò ad andare in giro con un vestito confezionato con il nastro adesivo per cui si guadagnò l’appellativo: Il Messia del nastro adesivo, spesso scherzava sul fatto che le lettere BFI (Browing Ferris Industries) sui cassonetti della spazzatura in realtà stavano per Blaze Foley Inside.
Anche il suo funerale è stato caotico come tutta la sua esistenza di musicista e di persona che ha deciso di vivere al limite perché era lì che trovava le storie migliori da raccontare come un fotografo di guerra che si avvicina al soggetto fino al rischio di essere ucciso. La giornata era molto fredda per una tempesta di ghiaccio che attanagliava la città di Austin e nessuno dei presenti sapeva esattamente dove si trovasse il cimitero se non che fosse ubicato da qualche parte a sud di Congress, oltre Onion Creek. Quando le auto che seguivano il carro funebre furono bloccate da un semaforo rosso nessuno sapeva dove dirigersi e molte delle persone dirette al cimitero non l’hanno mai trovato o hanno seguito le esequie di un’altra persona. A quanti raggiunsero il luogo della sepoltura è stato consegnato un pezzetto di nastro adesivo argentato che era stato usato per sigillare la bara e che gettarono nella fossa prima di ricoprirla sotto sei piedi di terra.
Se si intende credere a Van Zandt, tra i due era rimasto sospeso un conto. La chitarra personale di Blaze era spesso ricoverata nei banchi dei pegni quindi in molti spettacoli prendeva in prestito quella di Townes. Dopo la sua morte improvvisa, gli amici si resero conto che il tagliando per riavere indietro la chitarra era rimasto nella giacca che indossava nella bara. “E così una notte Townes e i fratelli Waddell andarono al cimitero con un escavatore per riportare la bara alla luce della luna, tagliarono il nastro adesivo per aprirla e come previsto il biglietto del pegno per la chitarra era nella tasca“. Chissà se è vera o no ma questa è solo una delle storie che entrambi si sono portati nella tomba. Probabilmente Townes e Blaze si stanno ancora scambiando quella vecchia chitarra avanti e indietro.
Merle Haggard, uno dei migliori cantautori country di tutti i tempi, è stato il primo a mostrare interesse verso le canzoni di Blaze. Quando If I Could Only Fly fu pubblicata per la prima volta da lui e Willie Nelson nell’album SEASHORE OF OLD MEXICO del 1987, un giornale commerciale di Nashville citò Merle che indicava If I Could Only Fly come la migliore canzone country che avesse ascoltato in quindici anni. Blaze tenne una copia di quel giornale arrotolato nello stivale dalla punta argentata per tre o quattro mesi per poterla mostrare alla gente che non aveva creduto in lui. Per Blaze la citazione di Merle Haggard era la conferma che lui era un vero cantautore e che il successo commerciale non gli importava nulla. Blaze Foley morì praticamente senza un soldo.
“Non sempre ottieni ciò che insegui ma ottieni ciò che non avresti ottenuto se non avessi inseguito ciò che non hai ottenuto“. BLAZE FOLEY