Storie di Rock #6 – Prima io, no io

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Il 3 ottobre del 1958, nella cittadina di Monterey sulla frastagliata costa centrale della California, debutta il Jazz Festival, l’evento che avrebbe portato la musica fuori dai club afosi, bui e pieni di ragnatele (parole del D.J. Jimmy Lyons) per consentire agli appassionati di fruirne in un prato, al vento e sotto il cielo. Nove anni più tardi, l’industriale Alan Pariser e Benny Shapiro, il proprietario di un club musicale sulla Sunset Strip di Los Angeles, accarezzano l’idea di organizzare nell’arena naturale di Monterey uno spettacolo che duri un intero weekend per promuovere la nuova musica e la cultura rock. Coinvolgono John Phillips, il leader dei The Mamas and The Papas, il quartetto vocale folk rock che a metà degli anni ’60 è molto popolare tra i giovani. Phillips prende l’incarico seriamente e costituisce un team organizzativo assai qualificato in cui figura anche Derek Taylor, ex addetto stampa dei Beatles che in seguito ricorderà: “L’idea di un festival che puntava alla promozione della musica ha fatto breccia nel cuore delle rock star dell’epoca. Molti di loro avevano avuto una vita difficile e adesso che erano ricchi e famosi gli faceva piacere poter contribuire in modo concreto alla diffusione di una nuova cultura“. Bob Dylan e i Beach Boys non aderiranno all’iniziativa così come Chuck Berry che non condivideva la finalità di organizzare uno spettacolo per beneficenza. Quello che sarà chiamato il popolo colorato di Monterey: Love, flowers and music, si radunerà nella cittadina il weekend del 16,17 e 18 giugno 1967 per il Monterey International Pop Festival e farà conoscere al mondo la rivoluzione psichedelica.

Al festival sono stati invitati tra gli altri anche due gruppi inglesi: The Jimi Hendrix Experience e gli Who conosciuti in patria perché sono soliti concludere le loro esibizioni distruggendo gli strumenti in una sorta di rito catartico di ribellione. Jimi Hendrix è presente a Monterey perché convinto da Paul McCartney, sarà la sua prima grande apparizione nel paese dove nessuno aveva sentito mai parlare di lui e vuole fare un’ottima impressione presentando sul palco qualcosa che non si era mai visto. Conosce bene la band di Pete Townshend e, consapevole della rivalità tra i due gruppi, cerca di evitare ogni occasione di contatto fino a quando si deve decidere la sequenza delle esibizioni di domenica 18 giugno.

Dietro le quinte del festival si accende una violenta discussione su quale gruppo debba suonare per primo ed è solo grazie all’intervento di John Phillips che si evita lo scontro fisico tra i membri delle due band. La presenza dell’energico batterista degli Who Keith John Moon sempre fuori controllo rende la situazione ancora più pericolosa. Sarà una monetina a decidere la scaletta e sono gli Who a suonare per primi. Al termine di My Generation, l’inno dirompente dei giovani mod inglesi, l’intera strumentazione viene fatta esplodere e la Stratocaster di Townshend non é risparmiata dallo scempio finale. Il pubblico americano rimane scioccato davanti a quello che sembra un attacco terroristico fatto di esplosioni e fumo nero. Prima di andarsene Townshend si rivolge al pubblico gridando nel microfono: “Qui finisce tutto“ come a dire che il resto dello spettacolo sarebbe stato irrilevante. Hendrix sale sul palco dopo questo delirio e per non essere da meno termina la sua esibizione con Wild Thing mimando un amplesso davanti alla sua chitarra che sbatte più volte a terra incendiandola e gettandone i pezzi sul pubblico. Sarà la sua definitiva consacrazione e Pete Townshend è costretto alla resa: “Ora capisco perché di me dicono che sia violento mentre sostengono che Hendrix sia erotico“.

John Phillips e The Mamas and The Papas chiudono il festival con California Dreamin’ e un saluto: “Il nostro sogno è diventato realtà, ci vediamo l’anno prossimo“. La storia racconta che non ci sarà una seconda edizione del Monterey International Pop Festival che rimane quindi un episodio unico, l’inizio del quinquennio d’oro della musica rock quando escono sul mercato una serie di capolavori attribuibili ai Doors, ai Pink Floyd, ai Velvet Underground, ai King Crimson, solo per citarne alcuni, ma soprattutto quel Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, il loro disco più famoso.

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