Offutt ama Cesare Pavese. Lo ha dichiarato lui stesso molte volte e ce ne da conferma nell’esergo di questo romanzo: “Queste colline non cambiano”, frase che Pavese scrisse per descrivere le colline del diavolo, in Piemonte.
Le colline di Offutt sono quelle degli Appalachi del Kentucky, luoghi dove, nonostante il trascorrere del tempo, nulla muta; le persone, il loro modo di comportarsi, i loro gesti, i loro silenzi, le inimicizie e le faide; dove i legami di sangue contano più di ogni altra cosa.
Mick Hardin, che abbiamo conosciuto ne Le colline della morte (minimum fax, 2021), personaggio solitario, un po’ disperato e assai ironico, un po’ soldato e un po’ detective, è tornato da poco a casa in licenza, convalescente dopo essere stato ferito a una gamba per un esplosione.
Nel centro della sua cittadina viene trovato, senza vita, il corpo di Barney Kissick, “Barney del cazzo”, un pusher, e la polizia liquida rapidamente il delitto come un regolamento di conti tra criminali. Però la madre di Barney, donna dura e indipendente che sembra scolpita nella pietra, chiede a Mick di indagare e lui scopre quasi subito che dietro al delitto si nascondono ragioni ben più complesse.
Offutt con la scusa del noir, dipinge per il lettore un affresco della provincia americana dove i protagonisti e gli eroi sono i perdenti. Quella provincia americana così ben descritta anche da altri validissimi scrittori della nuova scena letteraria degli Stati Uniti come, Willy Vlautin, Ron Rash, Lee Maynard.
Con una scrittura magistrale, asciutta e incisiva, Offutt esplora temi profondi come la perdita, il dolore e la vendetta e disegna un ritratto quanto mai realistico di un’America rurale dove, tra paesaggi aspri e cupi, le inquietudini della società americana si nascondono sotto la superficie della vita quotidiana, tra violenza latente e segreti inconfessabili. Da leggere assolutamente.