Fantasy Rock #5 – Un concerto in paradiso

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Il Padre Eterno ha riservato in Paradiso un angolo speciale per i musicisti country perché, nella sua infinita compassione, ritiene che la loro vita sulla terra non sia stata per nulla facile. Spesso hanno dovuto suonare in malsani honky-tonk bar ma il posto dove si trovano adesso ha pareti rivestite in pino profumato, tappeti verde oro posati sul pavimento e colorate lampade al neon ovunque. Nel locale c’è anche un palco dove si può suonare, qualche tavolo e comode sedie imbottite con una stoffa rosso brillante. Su un cartello luminoso spicca la frase: SATURDAY NIGHT**SUNDAY MORNING come a dire che la country music esplode il sabato sera per finire in chiesa la domenica mattina ma oggi si suona honky-tonk, boogie e rockabilly è solo il sesto giorno della settimana.

In questo luogo particolare animato da cowboy, camionisti e operai, Waylon (in arte Jennings) incontra Billy Joe (in arte Shaver) e i due si chiedono: “Perché non facciamo una telefonata a Willie? Adesso è più che novantenne dovrebbe essere stanco di stare on the road, qui c’è tanto tempo per suonare senza massacrarsi in viaggi sul pullman“.

Willie è stato importante per entrambi perché è grazie a lui che si sono conosciuti molti anni fa nel suo ranch vicino a Austin per un barbecue ricco di musica e cameratismo. Sono sempre stati veri amici loro tre anche pronti a prendersi a pugni, come quando Billy Joe non apprezzò il modo in cui Waylon ironizzava sulle melodie delle sue canzoni che però poi diventarono l’asse portante dell’album HONKY TONK HEROES.

Townes (in arte Van Zandt) è fuori in cortile con una brocca di fertilizzante in mano e lo sguardo perso sulla campagna punteggiata da fienili decorati. Davanti a sé ci sono alcuni vasi pieni di terra nei quali affonda le mani per mitigare il prurito che ogni tanto gli procura ancora il suo disagio psicologico. Pensava di averlo lasciato sotto la pietra tombale del cimitero di Fort Worth ma non é così. “Se questi piccoli fiori non saranno sbocciati al mio ritorno da Atlanta li farò saltare tutti all’aria”.

Seduto in disparte in fondo alla sala, il creatore di chitarre Guy (in arte Clark) fissa pensieroso una vecchia foto Polaroid che per molti anni è stata appesa sulla parete della cucina di casa. Immortalata sulla foto c’è una giovane donna con il volto imbronciato; è l’adorata moglie Susan, uccisa dal cancro, con la quale si era trasferito a Los Angeles e su quel periodo della loro vita in California aveva scritto la canzone L.A. FREEWAY. Guy sorride tra sé e sé ripensando alla ragione che aveva causato l’arrabbiatura della moglie. Lui e Townes avevano condiviso un pomeriggio di musica e bevute e quando Susan era rientrata in casa li trovò completamente ubriachi e siccome non era la prima volta che questo accadeva se ne andò sbattendo la porta.

E’ arrivato il momento del sound check che precede l’inizio di ogni concerto, la sala non presenta particolari problemi di acustica e i quattro si intendono con un solo cenno del capo come nei bei giorni andati; giù in Texas li apprezzavano tutti. E’ facile prevedere che il posto voluto dal Padre Eterno si riempirà presto e non è escluso che ci farà una puntatina pure lui.

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