Nella notte profonda sento un ritmo incalzante una canzone nuova, potrebbe essere un sogno, mi vedo soldato in marcia ma non ho una pistola, imbraccio solo una chitarra. Avvolte nel fumo vedo altre persone, fratelli e sorelle è giunto il momento di far sentire la vostra voce, io ho solo sei corde ma suonano come una campana come un jet che piomba nel mio cervello.
Se ti senti colpito devi reagire e marciare per tutti gli emarginati che hanno bisogno di una mano, batti i tamburi e alza le braccia e fai sentire la tua voce al di sopra di questa folla.
ONE GUITAR è diventato l’inno con il quale il rocker newyorkese Willie Nile chiude i suoi concerti ed è quasi impossibile trattenersi e non cantarlo a squarciagola con lui che sembra lanciare la sua chitarra verso il cielo ad ogni ritornello. Il messaggio della canzone ci riporta indietro nel tempo quando i giovani negli anni ’60 pensavano, o meglio si illudevano, che un cantante con la sua chitarra potesse cambiare il mondo. In quegli anni, alla musica era stato assegnato il ruolo di avanguardia culturale e di protesta contro la guerra, i diritti negati e le diseguaglianze. Due erano stati i fari ispiratori di quella generazione di musicisti: un moderno cantastorie dell’Oklahoma che aveva vissuto in prima persona la Grande Depressione e che prometteva di ammazzare i fascisti con la chitarra e un attivista musicologo che scriveva canzoni e le interpretava accompagnandosi alla chitarra e al banjo perché la gente, secondo lui, aveva bisogno della musica per marciare.
E’ stato Bob Dylan a ridefinire i contorni della canzone di protesta dopo aver esplorato le composizioni di Woody Guthrie e Pet Seeger per interpretarle in modo originale e diverso dai suoi contemporanei. Fu tra i primi a comprendere che alcuni messaggi sociali e politici contenuti nelle canzoni popolari potevano essere veicolati attraverso la musica con maggiore efficacia rispetto ai libri e ai discorsi inutilmente retorici. Ha trasformato il folk e l’ha reso politico, con lui il rock diventa una musica poetica e allegorica. Dylan arriva a New York in una fredda giornata dell’inverno del 1961, ha vent’anni, una valigia, una chitarra e niente più. Passa da una sistemazione provvisoria all’altra e si guadagna pochi dollari suonando nei folk club del Greenwich Village. I locali sono pieni di folk singer, c’è solo l’imbarazzo della scelta ma il nuovo arrivato punta a esibirsi nei più conosciuti ovvero al Cafè Wha?, al Common’s e al Gaslight.
Grazie alla sua intraprendenza e faccia tosta, diventerà un orso con il passare del tempo, Dylan riesce a farsi assumere per suonare l’armonica in tre canzoni dell’album di Carolyn Hester e durante la sessione di registrazione approfitta della presenza in studio di John Hammond, l’influente talent scout della Columbia Records, per sottoporgli un ritaglio del Times che elogiava quel giovane segaligno venuto dall’Oklahoma e lo convince ad offrirgli la possibilità di incidere il suo primo album. Al tempo Dylan non è un virtuoso della chitarra né un compositore originale e la sua voce è molto singolare tuttavia Hammond è impressionato dal modo in cui vive ogni canzone che canta, diverso dagli altri suoi contemporanei. Il titolo scelto non può che essere BOB DYLAN. Costa solo 400 dollari ma segna l’inizio di una carriera che porterà Dylan a diventare un’icona della musica contemporanea. Infatti è da allora che comincia a lavorare molto seriamente ad alcuni dei suoi più grandi successi, BLOWIN’ IN THE WIND primo tra tutti. Si racconta che la canzone, parole e musica, sia stata scritta di getto dopo una discussione sui diritti civili avvenuta tra i frequentatori del Common’s nella primavera del 1962. In realtà il brano che ha cambiato il corso della musica folk è modellato sullo spiritual NO MORE AUCTION BLOCK pubblicato per la prima volta da Gustavus D. Pike nel 1873. Dice Bob Dylan: “ Mentre stavo scrivendo BLOWIN’ IN THE WIND mi restò in testa una melodia cantata da Odetta e l’ho inserita nel mio pezzo “. Impressiona come un giovane poco più che ventenne sia riuscito a condensare nelle incalzanti domande del testo, solo apparentemente semplice e lineare, l’aspirazione ad un radicale cambiamento di prospettiva che in quei giorni aleggiava nell’aria. Il presente sarebbe presto diventato passato e i figli sarebbero sfuggiti al controllo dei genitori e dei loro insegnanti.
Seguendo un impetuoso flusso creativo, nell’estate del 1962 Bob Dylan compone A HARD RAIN’S A-GONNA FALL “ sta per abbattersi una forte pioggia “. La struttura del teso sotto forma di domanda e risposta è basata sulla ballata scozzese LORD RANDAL di Francis Child che ben si presta alle immaginifiche visioni di un incubo collettivo fatto di autostrade di diamante e di alberi dai rami insanguinati. Molti rimasero colpiti dalla potenza e dalla complessità della composizione definita un capolavoro della musica folk e, va detto, qualche legittimo dubbio sul fatto che tutto fosse farina del suo sacco cominciò a circolare tra la comunità dei critici e non solo ma è anche verosimile che la frequentazione quotidiana di scrittori, poeti e musicisti abbia giovato alla creatività della “spugna “ che era il giovane Dylan ai tempi del Greenwich Village. Il titolo fa pensare al potenziale scoppio della guerra nucleare, pericoloso apice dello scontro russo-americano in atto dopo l’invasione della Baia dei Porci ma c’è anche la protesta contro i detentori del potere economico e politico e dei loro sostenitori. Racconta Bob Dylan: “ Nell’ultimo verso quando dico che le pallottole di veleno stanno contaminando le acque, questo verso rappresenta tutte le bugie che vengono dette alle persone dalle loro radio e dai loro giornali “.
In MASTERS OF WAR Dylan scrive un’invettiva contro tutti coloro che alimentano le fiamme della guerra e spargono paura nel mondo per il loro solo interesse. Anche in questa caso si tratta della riscrittura di una canzone tradizionale folk, NOTTAMUN TOWN, nell’arrangiamento della folk singer Jean Ritchie ricompensata con 5.000 dollari per “ il prestito “ non richiesto. Anche se alla lettura il testo fa pensare ad un brano contro la guerra, Dylan ha sempre negato qualsiasi riferimento pacifista. Potrebbe quindi essere interpretato più come un richiamo a tenere sotto controllo questi signori della guerra perché l’uomo non nasce naturalmente disposto al bene e poco possiamo fare per evitare i suoi atti più malvagi come la costruzione e la diffusione di strumenti di morte. Nel gennaio del 1964 esce l’album THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN’ una vera e propria dichiarazione di principi da parte di Dylan, lui che era stato definito “ omuncolo “ dal Times, continua a guidare la rivoluzione culturale in atto prima con la canzone di protesta e poi con l’imminente movimento hippie. Dall’ispirato folk singer della risposta che soffia nel vento, Dylan si trasforma nel profeta dei tempi che stanno cambiando. Le sue antenne riescono a cogliere i segnali deboli e li manda in circolo attraverso le canzoni ma non piace a tutti e Newsweek lo accusa di approfittare della sua popolarità per prendere in giro i giovani. E’ indubbio che il ragazzo venuto da Duluth e presentatosi sulla scena del Greenwich Village come la voce di una minoranza finisce per diventare la voce di una moltitudine anche se ha sempre rifiutato l’etichetta di principe della protesta.
Quando Bob Dylan elettrifica la sua musica spinto anche dai Byrds che avevano portato in vetta alle classifiche la sua MR. TAMBOURINE MAN è uno shock per i suoi sostenitori ma molti gruppi e grandi cantautori lo seguono nella creazione di un genere ben riconoscibile: il folk rock. La protest song una volta compiuto il suo compito di promuovere e sostenere l’attivismo sociale e il ripudio della guerra e delle armi, muore e Dylan prende le distanze da quel pesante ruolo di portavoce generazionale che la stampa e il mondo dei media gli avevano cucito addosso. E’ tempo di cambiare prima che sia troppo tardi. Insieme a due amici intraprende un giro in auto degli Stati Uniti per raccogliere storie e sensazioni da mettere in musica e al ritorno registra in un’unica lunga seduta ANOTHER SIDE OF BOB DYLAN. Si apre una nuova fase della carriera di Dylan che culminerà con la pubblicazione della cosiddetta santa trinità del rock ovvero gli album BRINGING IT ALL BACK HOME, HIGHWAY 61 RIVISITED, BLONDE ON BLONDE.