Sicuramente Veronica Sbergia era da tempo pronta a spiccare il volo con un album solista, tanto più su questi contenuti musicali, e lo fa ora mettendo in campo tutta la sapienza culturale e canora acquisite in almeno tre lustri di frequentazioni dell’immenso songbook della musica nera, specie quella prebellica. Blues, jazz, gospel, ragtime sono il sale anche di Bawdy Black Pearls il cui contenuto principale però è dato dal fil Rouge che lega i dodici brani scelti dall’artista, ovvero si omaggiano dodici autrici e cantanti donne afroamericane, portatrici di un bagaglio di femminismo ante litteram, ribellione, sofferenza, ilarità, struggimento e perché no, anche dotate di una notevole carica sensuale, tutti sentimenti derivanti dalla loro femminile negritudine. Tutti i brani sono pescati dal ventennio compreso tra le due guerre, con il recupero di autentiche gemme musicali delle quali già il titolo dell’album ne traccia il mood: Bawdy Black Pearls che sta per “licenziose (e non nel più immediato “oscene” che non mi piace) perle nere”.
Figure femminili che hanno segnato la strada dell’affrancamento dal maschilismo e dal razzismo (ma siamo sicuri che oggi siamo tanto più avanti?!) che hanno attraversato quegli anni, quasi impossibili da affrontare già come donne e ancor di più essendo Afroamericane. Questo pseudo, inconsapevole movimento, tra i venti e i quaranta, ha dato il proprio impulso a che, in qualche modo, nascesse la musica registrata.
Ma veniamo a questa perla contemporanea, eh si perché il disco di Veronica è davvero un lampo di bellezza, ciò grazie alla scelta dei brani, al modo di cantarli con la propria dotatissima voce che ha sempre avuto la prerogativa, qui una volta ancora, di non “piallare” tutti i pezzi omologandoli ma di trovare la giusta interpretazione per ognuno di essi. Inoltre un plauso va anche agli arrangiamenti dei brani che, guidati principalmente dal bellissimo piano di Simone Scifoni e dall’aggiunta ora del mandolino di Lino Muoio (che ha avuto grande parte nella nascita del progetto), del contrabbasso sinuoso del fido Dario Polerani, della chitarra del “Maestro” Max De Bernardi e, in tre brani, dei fiati (cornetta e clarinetto) di Mauro Porro, rendono il contesto simile a quello dei mitici “speakeasy”, ovvero, quei locali clandestini che durante il proibizionismo nascevano in retrobotteghe o in appartamenti privati, luoghi fumosi e sudaticci che servivano alcolici di contrabbando e avevano una propensione alla libertà di espressione, il che li rendeva ambiti perfetti per fare jazz e blues e qui con Veronica & Pards si respira un bel po’ di quell’aria.
Citare un brano rispetto ad un altro è impresa ardua e pure riduttiva perché il livello è nell’insieme molto alto e non c’è un solo pezzo che non sia incastonato nel posto giusto, ma poiché mi tocca espormi diciamo che nel mio personale cartellino vincono “ai punti”: Sweet Lotus Blossom, un jazz-blues pianistico lento e strascicato di Julia Lee (1945) cantato con straordinaria ispirazione da Veronica, la ammiccante Ma Rainey’s Black Bottom di Gertrude “Ma”Rainey (1927), con interventi solistici da manuale di De Bernardi, Porro e Muoio, la splendida, sufficientemente esplicita allusività, di What’s Your Price di Lena Wilson (1931) con i suoi cambi di ritmo pianistici e la voce ammiccante della Sbergia, un grande brano!
D. Woman’s Blues di Lucille Bogan (1935) e Dope Head Blues della grande Victoria Spivey con il mitico Lonnie Johnson alla chitarra (1927), pezzi in cui Max e Veronica si ritrovano nel “brodo primordiale” dell’amato blues. Ma qui mi fermo anche se potrei continuare e finirei per elencarle tutte, concludo solo affermando che Bawdy Black Perls è un grande contributo odierno alle origini della black music e all’altra metà del cielo, da cui nacque gran parte della musica del dopo, è un sogno che diventa realtà (grazie anche alla Bloos records e a Simone Scifoni) e che dovrebbe portare Veronica al di là dell’Oceano, Lei merita di confrontarsi alla pari con le cantanti americane, del genere, di oggi. Splendido e dettagliatissimo, così come si conviene alle importanti produzioni, l’art book a cura di Roberta Maddalena Bireau.
Veronica Sbergia has painted her masterpiece!
MUSICIANS / ARRANGEMENTS:
Veronica Sbergia (Vocals – Washboard on track 10)
Simone Scifoni (Piano – Washboard – Snare Drums)
Lino Muoio (Mandolin)
Max De Bernardi (Acoustic Guitar)
Lucio Villani (Double Bass on track 4)
Dario Polerani (Double Bass on tracks 1,8,10)
Mauro Porro (Horn & Clarinet on tracks 1,4,10)
Giusy Pesenti (Ladle on track 11)
Album Artwork by Roberta Maddalena Bireau
Tracklist:
Stavin’ Chain
He May Be Your Man (But He Come To See Me Sometimes)
Sweet Lotus Blossom
Ma’ Rainey’s Black Bottom
What’s Your Price
B.D. Women’s Blues
Dope Head Blues
My Man Rocks Me (With One Steady Roll)
Sold It To The Devil
Hot Nuts (Get’ em From The Peanut Man)
I Ain’t Gonna Give Nobody None Of My Jelly Roll
If It Don’t Fit (Don’t Force It)