Curiosando tra gli scaffali di una delle mie librerie preferite, inciampo in un libricino dalla copertina attraente. Lo apro, poiché già il nome dell’autore mi incuriosisce: non vengo delusa, siamo in Irlanda, uno dei paesi di cui io subisco un fascino senza remore, del cui paesaggio sono perdutamente innamorata, nel cui cielo e prati verdi mi sono persa durante una indimenticabile vacanza troppo breve.
La novella in questione, non si può definire un romanzo, è ambientata, per di più, in un cimitero di campagna. Un cimitero, direte voi, come può essere un luogo attraente? Ebbene, ricordo che nel mio viaggio irlandese, ci siamo fermati spesso ai bordi della strada per visitare uno dei numerosi cimiteri che incrociavamo sul cammino e vi assicuro che la suggestione e il fascino di quei luoghi è indiscutibile. Le tombe, poste sotto cumuli irregolari di terra ricoperti di erba verde, sono spesso sormontate da lapidi storte, consumate e annerite dal tempo, i muretti di cinta sono irregolari e sbeccati, le croci celtiche, o croci di S. Patrizio, si ergono a simbolo di una mitologia e un folklore mai dimenticati.
Nella storia de La tomba del tessitore, ci troviamo nell’antico cimitero di Cloon na Morav, il Campo dei Morti, in compagnia di due vecchi, un chiodaio e uno spaccapietre, una vedova, la quarta moglie del tessitore appena defunto, e due gemelli, uomini belli e giovani, che dovranno scavare la fossa per deporre il corpo del morto. Negli antichi cimiteri celtici, però, le lapidi non riportano i nomi dei clan o dei morti e il luogo esatto della sepoltura di ogni morto va ricercato e trovato grazie ai ricordi degli anziani del posto. Ci mettiamo quindi alla ricerca del posto in cui seppellire il tessitore, insieme a questo gruppetto eterogeneo di persone.
“Entrambi i vecchi avevano l’aria di chi fosse stato inaspettatamente rimesso in libertà. A lungo erano rimasti in agguato da qualche parte fra le ombre della vita, giacché il mondo non sapeva più che farsene di loro; mentre ora, all’improvviso, ci si era ricordati di loro, ed erano stati chiamati per svolgere un compito che nessun altro, sulla faccia della terra, avrebbe potuto svolgere. L’eccitazione che mostravano in viso, varcando i gradini di Cloon na Morav, esprimeva una gioia incontenibile per il riconoscimento, seppur tardivo, della loro utilità”.
“I due vecchi si aggiravano per Cloon na Morav senza la benché minima fretta di portare a termine il loro lavoro. Dopotutto erano rimasti a lungo inattivi, dimenticati e trascurati dal mondo. La rinnovata sensazione di poter essere ancora utili era preziosa per loro. Sapevano che, una volta conclusasi questa faccenda, vi erano scarse probabilità che i loro buoni uffici venissero richiesti di nuovo”.
La memoria dei vecchi, però, si rivela fasulla e la ricerca del luogo in cui seppellire il tessitore ha bisogno dell’aiuto di un altro personaggio indimenticabile del racconto: il bottaio Malachi Roohan, l’ultimo uomo ancora in vita ad avere il diritto ad essere sepolto nell’antico cimitero. Dopo di lui a nessuno spetterà più tale onore. La vedova, rassegnata, andrà ad interrogarlo.
La descrizione della casa e della figura del vecchio bottaio sono superlative. L’uomo, invalido, si solleva dal suo letto tramite l’aiuto di una corda, elemento con cui si aggrappa agli ultimi scampoli di vita.
“Con quel pezzo di corda il bottaio si teneva attaccato alla vita, e alla fatica della vita. Esso rappresentava il suo legame col mondo, il mondo che lo aveva dimenticato e che sfilava di là dalla sua finestrella, senza avere il minimo sentore della cosa straordinaria che avveniva nella sua stanza”.
I bottaio si rivela un uomo le cui parole sono frutto di una filosofia che ha sviluppato nel suo rimuginare da infermo: “La risata di un idiota per la strada, il re che guarda la sua corona, la donna che volta la testa nell’udire i passi di un uomo, le campane che rintoccano nella torre, l’uomo che cammina sulla terra, il tessitore al suo telaio, il bottaio che sistema la sua botte, il Papa che si china in cerca delle sue ciabatte: tutto questo è un sogno. E vi dirò perché lo è: perché questo mondo è stato fatto perché fosse un sogno”. […]
“Il mondo non è che un sogno, e un sogno è meno di niente! Tutti ni avremmo il desiderio di risvegliarci dal nulla di questo mondo”
La conversazione con il saggio bottaio, pur se filosoficamente interessante, non sarà risolutiva nella ricerca della tomba del tessitore, che dovrà aspettare ancora una notte per trovare la sua degna sepoltura.
La novella, capolavoro di O’Kelly, ha un tono ironico e un linguaggio piacevole e accattivante che non scade mai nella macchietta, ma è capace di farci sorridere mantenendo un equilibrio da trapezista delle parole. I personaggi sono antichi, appartenenti ad una civiltà perduta, quella degli uomini che parlavano ancora il gaelico e si affidavano alla memoria collettiva anche per scegliere il luogo della sepoltura.
L’autore viene definito come “il genio più trascurato d’Irlanda”, poiché epigono di una civiltà sopraffatta dalla storia del ventesimo secolo e mai riconosciuto nel valore della sua opera, per lo più composta da racconti e scritti teatrali. O’Kelly era stato uno dei fondatori del movimento sinn feiner , partito indipendentista irlandese e aveva scritto per diversi giornali a cavallo tra fine ottocento e primi anni del novecento.
Ho trovato ne La tomba del tessitore un vero gioiello di narrativa, una storia che non ha una trama particolarmente ricca, ma dalle ambientazioni piene di suggestione e personaggi indimenticabili, una luce fulgida e inaspettata.