L’amante palestinese è indubbiamente un romanzo d’amore, una amore che divampa più forte delle differenze, più travolgente del rispetto per la propria identità e per la propria appartenenza, più assoluto della Storia in cui è costretto a sopravvivere, ma è anche un excursus su ciò che precede il 1948, anno in cui, finita la guerra, viene proclamato lo stato di Israele, sancendo la fine del mandato britannico sulla Palestina.
Albert Pharaon è un banchiere arabo, che si trasferisce dal Libano, abbandonando moglie e figli a Beirut, per andare a vivere a Haifa nella grande e lussuosa Casa rosa. La scelta della sua famiglia di dare in sposa, come una qualsiasi merce di scambio, la sua amata nipote Nina ad un ricco egiziano, lo fa sentire ormai fuori posto.
Golda Meir è un’ebrea nata a Kiev, sposata, convinta attivista del partito sionista. Come tutti gli esponenti di questa politica è convinta che la Palestina spetti di diritto agli ebrei, popolo storicamente dileggiato e vittima di persecuzioni e pogrom. Incontriamo Golda nel 1923, periodo in cui vive felicemente in un kibbutz, secondo regole che si sposano perfettamente con ciò in cui crede: uguaglianza, solidarietà, lavoro e vita comune. Il suo sogno si infrange ben presto per problemi di salute del marito Morris e lei è costretta ad abbandonare l’esistenza che sente più sua.
Golda, però, è una donna volitiva e determinata che non si rassegna a vivere solo come una tradizionale madre ebrea, limitandosi alla cura della casa e dei bambini, e che tornerà all’azione come figura determinante nella scena politica della Palestina tra la fine degli anni venti e il 1948.
L’incontro di queste due forti personalità darà vita ad una passione e un amore incontrollabili:
“Una storia impossibile? Quasi impossibile, costretta a svolgersi interamente in quel “quasi”, il piccolo spazio in cui ciò che non dovrebbe accadere accade, la stretta striscia di terra in cui sboccia il fiore proibito, la pulsione istintiva, la vita stessa”.
La storia prende la rincorsa e i conflitti tra arabi, che si sentono derubati e scacciati dalle loro terre, ed ebrei che, soprattutto dai primi anni trenta, affluiscono in Palestina scappando dalla persecuzione nazista, si fanno sempre più aspri e sanguinosi. L’amore folle di Albert e Golda naviga in acque sempre più scure e tempestose. I due amanti sono su due fronti opposti e ognuno rivendica le posizioni del proprio popolo.
Non vi dirò come la storia di questi due personaggi forti e affascinanti proseguirà, se il loro amore sarà sufficiente a superare una Storia che travolge interi popoli, che si fa violenza, che vive di sangue sparso nelle case e sulle strade, che costringe alla fuga coloro che vivono da secoli su quel suolo conteso: sarà bello scoprirlo leggendo.
Di questo romanzo ho apprezzato la capacità di Nassib di farci entrare nella questione israelo-palestinese da due porte: quella degli arabi, per i quali si comprende il suo senso di appartenenza, con i quali solidarizza, ma anche quella degli ebrei che vengono descritti nelle loro differenze di posizione. Nello svolgersi del romanzo incontriamo i sionisti, certamente, che rivendicano il loro diritto alla terra promessa, che si distinguono dalle frange violente di terroristi che uccidono e assaltano, ma incontriamo anche personaggi come Ada e suo marito Emil, arrivati in Palestina dalla Germania nazista che, non sposando le posizioni estremiste, affermano:
“E’ arrivando qui che siamo diventati ebrei riprende Emil con voce rotta. Lo eravamo già lì, ma detestavamo questa classificazione voluta dal nemico. In Palestina non abbiamo più avuto questo lusso. Si sono dimostrati gentili con noi, e ospitali, ed efficienti, ed è vero che senza di loro non sappiamo come avremmo fatto. Ma il modo in cui ci parlavano sottolineava di continuo il nostro errore: credevamo di essere tedeschi, mentre siamo solo ebrei. Ci guardavano come se ci fossimo vergognati di essere ebrei, e questo ci ha mandato su tutte le furie. Come se la vittoria elettorale dei nazisti fosse la prova che gli ebrei devono ritirarsi dal mondo per vivere insieme in uno stesso ghetto.”
Ciò che più ho apprezzato del libro è proprio questo sguardo panoramico sulla storia della Palestina prima del 1948, punto di non ritorno dopo il quale quello che forse, venti anni prima, sarebbe stato possibile, una convivenza tra arabi e israeliani, diventa assolutamente improponibile. E’ stato importante capire come si è arrivati alla guerra di oggi, ai massacri che vediamo ogni giorno perpetrarsi in quella terra, conoscere come pian piano si è dato mandato ad un popolo di soppiantarne un altro, senza tenere conto della morte e della distruzione cui si sarebbe dato il via.
Concludo questa breve recensione con le parole che Albert pronuncia la prima volta che incontra Golda:
“Lei è qui, sotto il cielo inglese. Straniera, terribilmente attraente. Nessuno può credere sul serio che farete sorgere uno stato ebraico in Palestina. Ma la vostra favola avrà un ruolo che non immaginate. Ci getterete nella modernità come gamberi nell’acqua bollente. Senza volerlo risveglierete – e forse farete esplodere – la società tradizionale assolutamente soffocante alla quale appartengo”.
Era il 1929.