Simonetta Magni inizia il suo libro con la data del 21 giugno 1997 quando il nostro giornale di Como: “La Provincia” racconta una storia umana sofferta, è la sua, e da queste vicende di vita quotidiana comincia a nascere in lei un fascino attrattivo nei confronti dell’India. Ma più che un solo diario il libro diventa traccia di un percorso di introspezione che parte da una Como per lei diventata arida e inaccogliente, dove ha sperimentato con sofferenza il potere dell’uomo sull’uomo, per portarla appunto in India, che viene descritta attentamente in ogni suo particolare nei pregi e nei suoi difetti, senza mitizzazione e ciò gli permette di confrontare il modo di essere in occidente con la ricerca di una realizzazione spirituale, di un nuovo senso esistenziale tra gli ashram indiani.
Una sorta di Vagabondi del Dharma di Kerouac del terzo millennio dove lo sguardo interiore diventa prioritario nei confronti del senso della sua vita, con un rifiuto dei disvalori della nostra cultura e di una società infarcita di modelli effimeri e privi di profonde consapevolezze.
Un viaggio che già ebbe una grandissima eco negli anni 70 dopo la scoperta della Meditazione Trascendentale dei Beatles nel 1968 a Rishikesh, l’originalità di questo suo racconto passa attraverso la ricerca di nuovi maestri, di nuovi contesti salvifici, delle oasi da cui apprendere un nuovo approccio alla spiritualità.
Eccola allora a raccontare della sua vita da “pellegrini della vita, mai legati a nulla, perché ogni luogo è troppo angusto per l’infinito che portano nel cuore”. Perché come scrive lei stessa cosa c’è di meglio che un luogo dove potersi riappropriare di se stessi e del proprio tempo, perché la verità dell’esistenza non è un pensiero ma è invece un’esperienza.
Diverse le tappe dei suoi percorsi in India, inizia a Poona nella comunità di Osho, quando il Maestro era già deceduto dal gennaio 1990, ma che descrive come un mondo nuovo in cui si respira la libertà dell’essere e rapporti umani di serenità e gioia. Uno stile di vita che nella comune di Poona, scrive Simonetta, diventa microsocietà ideale, qui inizia a studiare e a porsi le domande della vita che ben descrive nella volontà di lasciare un atteggiamento che paragona al correre dietro al vento e al soffrire nel cercare ciò che non ci appagherà mai. Al contrario lei vuole andare a fondo negli insegnamenti di Osho, che ci ha messo in guardia dagli schemi della mente, per riscoprire le libertà del cuore, per allontanarsi dal pensiero materialistico dell’Occidente e per accedere alle dimensioni superiori della coscienza, nell’idea di Osho di aiutare la nascita di un uomo nuovo.
Ma il viaggio continua verso “la vera conoscenza, verso la Fonte della Gioia”, attraverso Pondicherry, la città degli illuminati Sri Aurobindo e Mère, fino a Prashanti Nilayam nel poverissimo Andhra Pradesh richiamata in sogno dal Sai Baba nel suo ashram di Puttaparthi che con meraviglia immediatamente riconosce senza mai averlo visto prima se non in sogno appunto e dove gradualmente sperimenta la radicale trasformazione che esiste nella dedizione assoluta da parte del discepolo che si rivela in realtà essere un abbandono al proprio vero Sè .
Permanenza nell’ashram lungamente descritta perchè vuole scoprire chi è veramente Sai Baba: un’incarnazione dell’Amore che ha come fine lo far sperimentare un po’ della beatitudine in cui vive, la consapevolezza che conosce senza più bisogno di pensare ma attraverso la realizzazione del Sè immortale. Perchè, dice bene Simonetta, il vero compito dei Maestri è quello di rimuovere gli ostacoli creati dalla mente che impediscono la precezione del Reale, una prospettiva molto lontana dal nostro modo di pensare materialistico, affannato, superficiale che rincorre i miraggi di una visione illusoria, vittima di una mente presuntuosa che non sa concepire l’esistenza di qualcosa di più grande.
Nella seconda parte del libro si muove poi in riflessioni caustiche e ben documentate su quello che definisce un’assenza di senso in quello che ci circonda, su tutte le nostre più profonde contraddizioni fino a dedicare un capitolo intero sul perché è più etico essere vegetariani e dell’importanza del rispetto per tutta la vita.
Riporto infine una citazione dal suo libro che ben la rappresenta:
“E chi una volta sola si è donato, chi una volta sola si è affidato alla sorte, questi e libero” H. Hesse