POETICA
Philip Larkin (nato nel 1922 a Coventry e morto nel 1985 a Londra) è senza dubbio una delle voci più autorevoli della poesia britannica della seconda parte del ‘900. La poesia di Larkin è sempre apparsa di difficile collocabilità da parte della critica, in quanto sfuggente al dibattito fra le varie correnti del panorama della poesia britannica del secondo dopoguerra, per quanto generalmente accostato all’ambiente del collettivo chiamato comunemente Movement e che annovera altri autori importanti della poesia inglese dell’epoca (basti citare Kingsley Amis, Donald Davie, Robert Conquest); ma se Larkin condivide con questi poeti lo sforzo per una rivitalizzazione dei contenuti, la rigorosità nell’impostazione del verso e la ricerca della chiarezza espressiva, se ne differenzia però, per una scrittura che muove principalmente dall’urgenza del “dire”.
Del resto, la sua personalità schiva non è mai stata incline ai coinvolgimenti ed agli entusiasmi collettivi e lo stesso realismo che caratterizza la sua versificazione e che lo induce a soffermarsi spesso su ambientazioni di microcosmi derelitti, appare più come il risultato del suo spaesamento nei confronti della società del suo tempo, che come il frutto di scelte ideologico-politiche. Analogamente, l’individuazione di un tono realistico, prosastico addirittura in certi passaggi, è a sua volta collegato alla necessità che il poeta avverte, di voler mantenere un’attitudine neutra, in una sorta di “spegnimento delle passioni”.
La poetica di Larkin è stata definita da alcuni critici “elementare”, ma in un senso interessante, intesa cioè come distante da qualsiasi tendenza metafisica, ma non limitata ad un’osservazione “cronachistica” della realtà – rischio in cui la poesia narrativa rischia sempre di incappare – grazie al suo sguardo capace di un’analisi penetrante, in grado di oltrepassare i dati della mera apparenza (non a caso Larkin sviluppa una grande passione anche per la fotografia)
Nella sua versificazione, il poeta è in grado di osservare e sezionare instancabilmente la natura ed il circostante, al punto che ogni manifestazione della vita, fosse anche la più elementare, diventa per lui occasione di approfondimento poetico.
Formatosi inizialmente alla musica, grazie al suo amore per il jazz (che pratica suonando batteria e sax), comincia a comporre poesie ed opere di narrativa fin dall’età adolescenziale, assumendo in particolare come riferimento per la poesia Eliot ed Auden e nel 1946 compaiono le sue prime pubblicazioni, tanto di narrativa (le novelle Trouble at Willow Gables e Michaelmas Term at St Brides), quanto poetiche, con la raccolta The north ship.
Il punto di svolta della sua carriera poetica è costituito dal periodo trascorso a Belfast durante gli anni ’50, momento di febbrile attività di scrittura, culminato con la pubblicazione della silloge The Less Deceived del 1955, che lo consacra definitivamente fra le voci più alte della poesia in lingua inglese del suo tempo.
Dopo la raccolta High Windows, apparsa nel 1974 e fino alla sua morte, Larkin continua a comporre solo singole poesie, apparse in alcune fra le più prestigiose riviste letterarie, come il Times Literay Supplement.
La sua idea della costruzione poetica, che potremmo definire “piana”, non deve trarre in inganno dal punto di vista del lavoro stilistico, poiché come spesso accade nell’arte, l’apparente semplicità è frutto di un lavoro certosino di affinamento espressivo, che nel caso di Larkin si è estrinsecato nella ricerca di vari modelli stilistici, fino a giungere, almeno a partire da The less deceived, al modello colloquiale, discorsivo, sulla scorta dell’influenza esercitata su di lui da una figura come quella di Thomas Hardy, uno tra i poeti più originali dell’800 inglese, caratterizzato da una spiccata propensione alla sperimentazione di nuovi modelli linguistici e stilistici.
Tale modalità di scrittura, diviene la sua cifra prevalente – pur nell’importanza che egli continua a riservare alla metafora, all’allegoria, fondamentali per l’arte poetica e che nel caso di Larkin vengono tratte soprattutto dall’osservazione della natura – permettendogli di raggiungere l’obiettivo di ritrarre nelle sue opere, come affermato dallo stesso Hardy, “persone comuni fare cose comuni”.
POESIE
PARTENZA
C’è una sera che scende,
a nessun’altra uguale,
sui campi avanza e non accende lumi.
Di seta sembra da lontano, pure
quando t’avvolge le ginocchia e il petto,
non è per confortare.
L’albero che saldava terra e cielo
dov’è fuggito? Qui, sotto le dita
cosa c’è che non posso sentire?
Qual è il peso che grava sulle mie le mani?
LUOGHI AMATI
No, non ho mai trovato
un posto di cui dire
“Questa è la mia terra,
Qui voglio rimanere” –
né quella persona speciale
che all’istante reclama
tutto ciò che possiedo
e addirittura il mio nome;
simili circostanze proverebbero
che non c’è necessità di scegliere
dove farsi la casa, o chi amare;
a quei luoghi chiediamo solamente
di travolgerci irrevocabilmente,
dimodoché non sia poi colpa nostra
se la città diventa inabitabile,
o la ragazza un’idiota.
Eppure, non avendoli trovati,
si è costretti ad agire, nondimeno,
come se ciò cui ci siamo adattati
ci avesse di fatto, legati;
ed è più salutare trattenerci
dal pensiero che si potrebbe ancora
scoprire fino ad oggi inessenziali
i nostri posti, la nostra persona.
LONTANO DI QUI
Al di là delle insegne luminose
ci sono spazi più oscuri: lassù
piccoli nidi brumosi di stelle
sembra ondeggino in aria.
Non hanno specifici nomi:
Nessun uomo che vaghi nella notte
volge a loro il suo sguardo
per orientarsi o per puro piacere;
una polvere tanto evanescente
può dar ben poca luce:
È molto meno il noto che l’ignoto,
È molto più il lontano che il vicino.
Consiglio di lettura dell’autore
Non essendo disponibile un’unica selezione in italiano della produzione poetica di Larkin e ricordando che molte sue poesie sono apparse singolarmente in varie riviste, l’unico suggerimento di lettura possibile per il pubblico italiano è legata alla traduzione della silloge High Windows (Finestre alte, a cura di Enrico Testa, Einaudi Torino, 2002) stante l’attuale irreperibilità di altre traduzioni apparse in precedenza. Per quanto concerne invece le pubblicazioni in inglese, per chi avesse la possibilità di leggere l’opera di Larkin in lingua originale, può essere sicuramente interessante procurarsi le raccolte The Whitesun Weddings e High Windows nelle varie edizioni disponibili; tuttavia, data la complessità, l’eclettismo e la prolificità della produzione larkiniana, di cui solo una parte è apparsa in raccolte, la lettura più esaustiva ed il miglior approccio possibile all’opera del poeta inglese, rimane l’ultima antologia, Collected poems, apparsa nel 2012 per i tipi della prestigiosa casa editrice londinese Faber & Faber.
Preciso che per la traduzione dei testi scelti per la piccola antologia presente in quest’articolo, ho fatto riferimento alla traduzione di Silvio Raffo, contenuta nell’articolo apparso nella rivista Poesia edita dall’editore Crocetti, nel Giugno 2014.