Senza ombra di dubbio, Paolo Valesio è una delle figure intellettuali più complesse e di alto profilo non solo del panorama letterario, ma dell’intero mondo della cultura italiana degli ultimi cinquant’anni.
Nato a Bologna nel 1939, Paolo Valesio ha svolto una lunga e gloriosa attività accademica, soprattutto negli Stati Uniti ed è tuttora Professor Emeritus presso l’Università di Columbia a New York, dove ha occupato la cattedra “Giuseppe Ungaretti” di Letteratura italiana dal 2005.
Partito da una formazione di linguista, dagli anni Settanta Valesio ha insegnato letteratura italiana alle università di Harvard, New York, Yale prima di concludere la carriera alla Columbia, dedicando gran parte della sua ricerca allo studio della retorica e della sua realizzazione in scrittura: tra i suoi lavori si ricordano, tra gli altri, i suoi importanti studi a Gabriele d’Annunzio e sul futurismo.
Dopo aver esordito come narratore nel 1978, con L’ospedale di Manhattan, l’anno successivo, pubblica la sua prima raccolta di versi, Prose in poesia, impreziosito da una postfazione di Stefano Agosti: da allora si sono succedute una ventina di raccolte poetiche, che hanno fatto di Valesio una degli autori poetici più importanti della scena italiana contemporanea, come attestato anche dai contributi critici a lui dedicati da autori quali, Antonio Porta, Guido Guglielmi, Maurizio Cucchi, solo per accennare alcuni nomi.
Il testimone e l’idiota è la sua ultima pubblicazione poetica di Valesio, apparsa nel 2022 per i tipi de La Nave di Teseo, da sempre una delle realtà editoriali più attente alle poesia di alto livello italiana ed internazionale.
Valesio conferma il suo orientamento verso una ricerca poetica legata ad una creazione poetica “forte”, in grado di fornire il proprio apporto per la ricostruzione del panorama complesso della nostra contemporaneità storica – qualità rarissima nel quadro di una poesia come quella italiana per la maggior parte ripiegata verso la cifra di un intimismo lirico dilagante e molto spesso inadeguato ed anacronistico – in grado però non solo di fotografare la condizione sincronica, ma di valicarla, coniugandola altresì verso un prospettiva veritativa, trascendente la semplice dimensione fisica, nell’ottica di un approccio che potremmo definire spiritual-religioso-antropologico che l’autore è andato via via approfondendo nella sua produzione poetica, definendo un modello di approfondimento teoretico e di scrittura, in cui evidentemente un ruolo importante è esercitato dalla componente della riflessione sulla sfera del sacro.
Almeno a partire dalla sua silloge Ascoltare il silenzio, apparsa nel 1986 – come ci ricorda Alberto Bertoni nella prefazione all’opera – la poetica valesiana si è orientata verso un intreccio intricato ed affascinante in cui si raccordano retorica e poetica, teoria e mistica ed appunto la dimensione più strettamente religiosa che Valesio attinge tanto dai riferimenti biblici che dalla tradizione religiosa pre-cristiana greca e romana.
Non a caso abbiamo definito questa produzione di Valesio in termini di pubblicazione e lavoro perché in effetti non siamo di fronte ad una raccolta poetica, bensì ad un vero poema in prosa: il poema o poesia in prosa è una proposta di scrittura poetica rarefatta in Italia, ma che spesso ha dato vita a risultati molto interessanti (da Campana, passando per Pagliarani o Giovenale ai giorni nostri, per non citare la tradizione francese ed anglofona) per la sua capacità di abbattere alcuni steccati classici e totalmente infondati (oltreché ormai anti-storici) tra forme di rappresentazione artistica e per la possibilità di estendere lo spettro della narrazione poetica e ravvivarne le stesse possibilità espressive e che in alcuni casi (pensiamo solo per rimanere all’interno della poesia italiana a La ragazza Carla di Pagliarani o a La camera da letto di Bertolucci) riesce, proprio per la possibilità offerta al poeta di ampliare lo schermo narrativo, nell’intento di ripristinare l’antica tradizione del poema (da cui la definizione appunto di poema in prosa), storicamente la massima espressione dell’arte poetica.
In effetti, nel caso de Il testimone e l’idiota siamo di fronte ad un poema vero e proprio che costituisce una sorta di suggello di un percorso di affinamento e raffinamento poetico seguito da Valesio nella sua parabola artistica, di rimarcando altresì un’originalità rispetto alle opere precedenti, per quanto ognuna di esse ne abbia rappresentato una naturale premessa.
Peraltro, siamo di fronte ad un’opera davvero originale anche nel quadro dei precedenti tentativi operati nella poesia italiana (e persino a livello internazionale non ci sono molti esempi similari) di poemi in prosa, per l’impianto drammaturgico che caratterizza questo lavoro di Valesio, quasi di impostazione teatrale per la sua formula basata sull’incontro incrociato di quattro personaggi: due personaggi maschili (che sono quelli che danno vita al titolo: il testimone e l’idiota, appunto) e due personaggi femminili e cioè la Voce e la Fiamminga: mentre i primi due sono destinati a non incontrarsi, la Fiamminga dialoga con entrambi ed a sua volta comunica con la Voce per via telematica (via mail o via telefono). La Voce anima la riflessione con i suoi riferimenti e le sue citazioni che si snodano fra amore, fede, filosofia, in pratica un vero e proprio alter ego del poeta in grado di ricalcarne i suoi vari interessi e la vasta gittata delle sua formazione e capace di stimolare la presa di coscienza degli altri protagonisti, i quali a loro volta sono la rappresentazione della platea dei lettori.
Un vero canovaccio teatrale dunque, che evidentemente necessita dell’apporto del pubblico, in questo caso i lettori, che finiscono per svolgere la funzione di raccordo fra i vari tasselli dell’opera e ricomporne le tessere mancanti.
Il testimone si pone in definitiva come lo zenith di un cammino poetico poliedrico, versatile, che qui si precisa nelle sue varie influenze che coniugano tracce provenienti da diverse fonti di costruzione epistemologica, dalla religione alla filosofia, dalla storia e le scienze antropologiche a quelle geografiche e fisiche, dalla musica alle arti visive, riversate sapientemente nel crogiuolo della poesia, lo shaker in grado di mescolare i vari ingredienti in un unicum narrativo organico, impresa davvero di notevole spessore e che apre degli spiragli interessanti ed importanti per la poesia italiana.
A ben vedere ci sono anche altri elementi binari che si intrecciano nella scrittura di Valesio: quella fra la dimensione onirica e quella ancestrale, fra le dimensioni dello spazio e del tempo, la tendenza all’analisi interiore e l’incanto istintivo, immediato dell’infanzia: quest’ultima, in qualche modo, sembra essere la condizione che meglio pare simboleggiare l’animo e l’attitudine umana, repressa appunto dal polo opposto, quello della razionalità analitica con le sue convenzioni
La poesia è dunque per Valesio il ricettacolo cui affidare la ricerca della verità (sempre nei limiti dell’umano intelletto) e dei nodi che compongono l’interpretazione gnoseologica della condizione umana, ma senza mai eccedere in erudizione e neppure in intellettualismi, tanto che l’intera impalcatura della sua opera trae spunto dalla situazione concreta dell’uomo occidentale odierno, sospesa tra crisi finanziarie, sfaldamento sociale e minacce belliche.
Si può anzi ben dire scenario da cui prende la mosse il lavoro di Valesio è la preoccupazione per l’attuale panorama politico-sociale ed i pericoli che incombono sul mondo occidentale, che però non sembra del tutto consapevole della minaccia che veleggia sul proprio capo, presa com’è, dalla perpetuazione dei suoi preminenti valori materiali, con il loro falso valore consolatorio. Non a caso, nel riquadro della copertina spicca una raffigurazione dell’Angelo della storia di Paul Klee, che , come già a suo tempo evidenziato da Walter Benjamin, fissa con il suo sguardo le rovine derivanti da una catena di avvenimenti che a lui, che beneficia della rivelazione della visione storica, assumono il valore di uno sguardo di insieme, che illumina il quadro visivo su quello che in realtà si configura come un’unica catastrofe; uno sguardo ammonitore, che mirando le macerie del passato redarguisce l’uomo contemporaneo nei confronti dei disastri della contemporaneità, compiute e soprattutto, presagite.
L’intepretazione di Benjamin della raffigurazione , che letta negli anni’40, all’indomani della morte della grande filosofo tedesco, poteva sembrare premonitrice della tragedia della seconda guerra mondiale, oggi sembra intervenire a ricordarci che siamo nuovamente ad un passo dalla catastrofe, per cui questa scelta raffigurativa di Valesio ha una valenza ben precisa del senso che sorregge il suo lavoro.
Interpretato il poema di Valesio sotto questa lente di lettura, appare pertanto chiaro come i suoi protagonisti siano in realtà la rappresentazione di un’unica individualità erratica, in una società che (così come la poesia odierna ha in buona parte perduto la metafisica – cioè la sua qualità di leggere al di là delle righe – qualità che Valesio cerca di recuperare) pare ormai aver relegato la sfera del sacro (come dimensione valoriale umana e non intesa come credo nelle varie Chiese) nell’angolo della chincaglieria.
La parola, nel processo creativo valesiano, diventa testimonianza di una verità che sembra diventata irripetibile: ma è proprio questo limite che dà vita al discorso poetico, poiché la verità non può essere riassunta in termini specifici ma, appunto, nella circonlocuzione poetica, che consente al poeta di istituire un ponte con i suoi lettori e come il suo personaggio della Voce, illuminare il nostro circostante, offrendone una possibile chiave di interpretazione salvifica.