Maurizio Angeletti – La tecnica della chitarra a 12 corde
EnnoiaBooks, 2018, pagg. 504 + 216, € 70,00

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Lettore che non hai mai preso in mano uno strumento, che non sai un granché della chitarra a 12 corde e che stai per saltare a piè pari questo articolo, ti prego: non farlo. Proverò a spiegarti perché.
E tu, naturalmente, lettore chitarrista che ti nutri di tutto quello che riguarda la tecnica, le tablature, la liuteria e tutto quanto, mettiti comodo. Il libro di cui si parla ti riguarda da vicino.

Quello che rende interessante per tutti l’esistenza di questo libro è che Maurizio Angeletti è un chitarrista che si può definire storico, avendo egli inciso nel 1980 quello che è con buona certezza il primo album italiano di chitarra acustica (portava il suo nome, uscì per Young Records e conteneva sia brani tradizionali che originali scritti da lui). Era un brillante seguace di John Fahey e di quello stile di chitarra che si chiamava “american primitive guitar”, nato sulla tecnica del fingerpicking e sulle forme del country blues, ma senza il cantato, come per costruire una sorta di tradizione di chitarra classica americana del XX secolo.

Maurizio Angeletti nel 1979 con la Martin 00028, foto di Elena Rota (si ringrazia l’autrice).

Gli anni a cavallo del 1980 a Milano erano un momento di grande creatività, in città nasceva un sacco di musica interessante e nei locali si suonava tanta chitarra. Angeletti a Milano era arrivato dopo aver appreso qualche blues da Deborah Kooperman a Bologna. Di quel breve ma eccitante momento fu uno dei musicisti di riferimento, dopo gli esordi nelle prime formazioni di Fabio Treves.
Nel 1982 pubblicò American Guitar, un libro che per chi era interessato alle cose che succedevano nella musica acustica (erano gli anni dei Michael Hedges e degli Alex De Grassi) è un testo fondamentale (ho avuto l’immenso piacere di condividere un po’ di tempo e di lavoro con Maurizio, qualche anno fa, nella cura di una nuova edizione digitale di quel libro).

Maurizio Angeletti è una mente critica molto vivace, oltre che un musicista speciale. Questo lo ha portato, a un certo punto, a prendere le distanze da un certo periodo della musica e da un certo modo di intendere il blues. E quando prende le distanze lo fa per davvero: chitarrista storico, dicevo, ma potrei aggiungere che il fatto di essere sparito dalla circolazione dopo i primi tre dischi, e di riapparire ogni tanto ma con parsimonia, l’ha reso anche leggendario. Perché poi, negli anni in cui si è appartato, ha lasciato l’Italia e si è dedicato ad altri mestieri, talvolta altrettanto creativi e altrettanto portatori di gioia e piacere per le persone, ma soprattutto si è applicato al violoncello e a studi di linguistica e semiotica. Studi attraverso i quali ha dato una forma più definita alle ragioni che l’avevano portato a non riconoscersi più in quel modo di intendere la musica. Negli anni ha preso posizione su quello che nella sua visione era un paradosso, cioè il chiamare “blues” un materiale decontestualizzato dalla cornice storica e dalle condizioni sociali nelle quali era nata la musica afroamericana e calato dentro una altra cultura che è per definizione incommensurabile. «L’inglese non si “spiega” tramite l’italiano; l’italiano non si “spiega” tramite l’inglese», è il modo in cui illustrava la questione nell’appendice all’edizione 2015 di American Guitar.

“Maurizio Angeletti”, il primo album, 1980.

Il motivo per cui vi racconto questo pezzo di storia è che l’opera di cui vi parlo si comprende meglio se si ha presente la radicalità dell’approccio del suo autore.
La ragione per cui ha senso parlare di questo libro (che non è un’uscita recente, e dunque ve ne parlo al di fuori di qualunque pressione dell’attualità), e di parlarne per un pubblico che immagino composto in maggioranza di ascoltatori e solo in parte di gente che suona, è innanzitutto che musicisti che animano il dibattito sono necessari. In secondo luogo, che questi due volumi su “La tecnica della chitarra a 12 corde” sono una eloquente, meditata, approfondita, circostanziata dichiarazione d’amore e di rispetto per la musica. E solo in seconda istanza sono un manuale (e anche su questa definizione avrei qualche dubbio, come vi dirò più giù).

Allora, vediamo intanto come è composta l’opera (qualcosa più di 700 pagine, divise in due volumi).
Il primo volume è “La tecnica della chitarra a 12 corde”, il secondo “30 composizioni e arrangiamenti per chitarra acustica a 12 corde”, con intavolature accurate di altrettanti brani analizzati nel primo.
Ad essi si aggiunge una raccolta di trentasei registrazioni in mp3 (che chi compra il libro può richiedere all’autore), suppergiù quelli discussi nel libro. Sono tratti dai tre album di Angeletti e sono integrati con versioni dal vivo registrate in periodi successivi, dettaglio che favorisce la riflessione sulle differenze di tempo e di contesto nell’esecuzione.

Maurizio Angeletti nel periodo inglese con la Taylor, foto di Claire Angeletti (si ringrazia l’autrice).

La trattazione è sistematica, ma insieme discorsiva. La premessa che si chiarisce strada facendo è che nell’esecuzione di un brano è necessario guardare a quel brano come un atto linguistico con un significato. Dunque la tecnica, la teoria, la fattura dello strumento, persino le condizioni fisiche dell’ambiente nel quale si suona, tutto è importante se tende alla comprensione e al rispetto di quel senso.

La parte, diciamo, teorica dell’opera è sviluppata prevalentemente nei primi sette capitoli.
Si parte da una introduzione, peraltro arricchita da numerose fotografie dell’autore e di parti di strumenti, che vorrebbe essere una presentazione della chitarra a 12 corde; diventa invece una lunga, godibilissima trattazione che abbraccia la filosofia musicale di Angeletti, le peculiarità della 12 corde, quelle dei diversi marchi celebri e alcune caratteristiche costruttive. Per esempio, si dilunga (assai piacevolmente) su un particolare come la disposizione sul ponte dei pin-hole (i buchi dove alloggiano i piroli che tengono ferme le corde) e le conseguenze in termini di angolazione della corda rispetto all’”osso”. Avete presente quelle lunghe conversazioni da nerd, dove due appassionati riescono a passare serate intere su un dettaglio? Ecco, questo è l’ambiente nel quale vi accoglie la lettura di questo libro – della sua parte più discorsiva, almeno. Che prosegue con un capitolo storico, dove facciamo la conoscenza coi principali musicisti che si sono dedicati alla 12 corde. A partire naturalmente da Leadbelly fino a Leo Kottke, grande innovatore dello strumento, e ai grandi inventori di musica della stessa epoca, come Peter Lang e Robbie Basho.

Dunque arriva il capitolo sulla tecnica: i tipi di corde, lo spessore, ma anche la postura, le mani e la cura dell’ambiente nel quale si suona.
Tutto il discorso intreccia continuamente le premesse dell’autore, che però, anche quando afferma cose con una certa nettezza, incoraggia comunque nel lettore la responsabilità di un proprio punto di vista. È interessante che l’autore faccia abbondante uso della prima persona: difficilmente leggerete “si fa così”, ma piuttosto “nella mia esperienza”, o “secondo me” o “il modo in cui io accordo” eccetera.

Dopo tante pagine dedicate alla tecnica declinata in ogni suo aspetto, trovo che sia una bellissima idea che il capitolo che segue, a sorpresa, si intitoli “Definizione e significato di ‘tecnica’”: quasi a voler decostruire, a posteriori, qualunque luogo comune il lettore possa avere in mente (perché nel campo della chitarra i luoghi comuni e le distorsioni sulla tecnica abbondano). “È ormai una consuetidine”, scrive Angeletti, “se non una vera patologia, il parlare costantemente di ‘tecnica’ come sinonimo dell’espressione artistica, e questa è una piaga particolarmente grande nel mondo della musica, al di là dei generi specifici”. Segue una riflessione densa e interessante che, sebbene suddivida in numerosi argomenti la questione tecnica, afferma la sostanziale unitarietà dell’esperienza musicale complessiva.
Il quinto capitolo è sulle “nozioni teoriche essenziali”, utile per ogni chitarrista, a prescindere dal numero delle corde che ha sotto le dita. Anzi, utile a chiunque suoni uno strumento. Anzi, utile a chiunque voglia comprendere le basi che permettono una lettura del fatto musicale sotto il profilo anche teorico e formale.

E poi arriva l’argomento principe, in un certo senso, quello dell’accordatura. È l’argomento che più differenzia fra loro gli artisti e il loro approccio allo strumento: ogni chitarrista che prova ad accordare lo strumento in modo alternativo rispetto all’accordatura standard Mi La Re Sol Si Mi è una specie di sperimentatore, in cerca di una personale geografia sonora nella quale trovarsi a proprio agio. Anche questo è condotto con grande meticolosità teorica ma anche con sensibilità artistica.

Il secondo volume.

Il capitolo sulla composizione, poi, è cruciale nella visione di Angeletti, proprio per il modo in cui coinvolge gli aspetti grammaticali e sintattici della musica come linguaggio: chi crea musica si assume in prima persona le responsabilità che riguardano la coerenza (che è una questione semantica) di una composizione e la sua coesione (che è una questione strutturale-grammaticale).
Si parla ancora di tecnica nei due capitoli che seguono, si parla di interpretazione e di stile, ma lo si fa cominciando a entrare nella parte più pratica dell’opera. Tutti i temi indagati fino a questo punto cominciano ad essere applicati allo studio e al commento di pezzi suonati.
E il resto del primo volume (oltre la metà) è costituito dall’analisi dei brani, da commenti e note sugli aspetti armonici, melodici, strutturali.
Tutti i pezzi sono accuratamente trascritti in tablatura nel secondo volume, insieme ai diagrammi delle posizioni, con abbondanza di dettagli e indicazioni.

Vorrei dire che sebbene abbia molte cose in comune con un manuale, non riesco a pensare questo libro solo come un manuale. Lo vedo come un’esperienza di immersione in un mondo, e le dimensioni dell’opera sono parte dell’esperienza, diciamo il minimo indispensabile per provare a perdersi davvero.
Su “American Guitar” Maurizio citava un proverbio zen: «Osserva per dieci anni il bambù, fatti bambù tu stesso, poi dimentica tutto e dipingi». Come se l’unica “tecnica” fosse quella di lasciarsi andare alla contemplazione del compito che ci si pone. Dunque questo progetto di Maurizio Angeletti è importante (stavo per dire “utile”, se non fosse che la musica non si può definire in base a criteri di utilità) non solo perché parla di accordature, diteggiature, legni e corde, ma per il modo in cui ci invita nell’universo delle accordature, delle diteggiature, dei legni e delle corde.
Dunque una maniera che mi pare plausibile per imparare da esso è abbandonarsi al piacere di leggerlo. Non è tanto mettersi lì a provare e riprovare Zoetrope: è, come dire?, “farsi Zoetrope”. E poi imbracciare lo strumento e vedere cosa succede.

Il libo si acquista sul sito dell’autore (clicca qui).

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