Ci sono serate come quella di sabato 15 aprile in cui tocchi con mano una serie di considerazioni che sono poi quelle che spesso attraversano la mente di chi scrive.
Due concerti annunciati, poi in realtà divenuti tre visto che non previsto si è esibito in apertura un bravo e, personalmente sconosciuto, ovvero Kris Gruen songwriter proveniente da New York, figlio del celebre fotografo Bob Gruen, autore di scatti splendidi a Clash. Blondie, Ramones, Led Zeppelin, John Lennon, Bob Dylan, Rolling Stones, Led Zeppelin e decine di altri (https://www.bobgruen.com). Kris è bravo e piacevolissimo, e il suo breve set, fortemente voluto da Chuck Prophet che lo ha portato in questo tour europeo, è stato una bella sorpresa. Una bella occasione per presentare il suo delizioso ultimo lavoro, quel Welcome Farewell pubblicato a settembre del 2021, ed impreziosito da ballate splendide tanto quanto piacevoli. Insomma una bellissima scoperta.
Poi si apre un libro che potrebbe essere frutto di un personaggio come Seba Pezzani, musicista, traduttore, giornalista, profondo conoscitore degli Stati Uniti. E’ lui chi mi è venuto in mente sabato sera assistendo ai concerti di cui sopra. Da una parte la California (San Francisco), liberal e progressista, aperta e contraddittoria rappresentata da Chuck Prophet & The Mission Express, che per logica dovevano essere gli headliner della serata. Lo dice la storia e lo status di un musicista, che dopo i Green On Red ha saputo dare vita ad una carriera da solista di tutto rispetto, fatta di album splendidi e vari a partire da Brother Aldo, dove appariva Spooner Oldham, passando per No Other Love, fino ad arrivare al recente The Land That Time Forgot che contiene la bellissima High as Johnny Thunders. Un ritorno in Europa dopo anni, l’ultima volta credo fosse nel 2017, che sta raccogliendo consensi tornando a far parlare di un musicista e del suo notevole gruppo (Kevin White al basso, Vicente Rodriguez alla batteria e James DePrato alla chitarra). Un set breve, purtroppo, che se dal punto di vista musicale non è certo una novità, dall’altra vede Chuck e i suoi impartire una sorta di “lectio magistralis” su come dovrebbe essere un set talmente bello ed affascinante da essere unico. Concerto bellissimo, che ha il solo torto di essere stato troppo breve per decisione di Prophet. Peccato!
Poi arrivano on stage The Vandoliers, ovvero l’altra facciata di una stessa medaglia. Una bar band di texani in grado di farti ballare e divertire per tutta la sera. Almeno per quelli che amano gruppi del genere, e che vogliono godere anche di serate fun, fun, fun, senza troppe masturbazioni mentali o snobismi inutili. Il r’n’r è divertimento ed è fatto anche di band come queste che non fanno mistero di ciò che sono e da dove vengono. Ecco l’altra America, quella che ama le tradizioni, ancorandosi a certi stilemi Country rileggendolo in chiave moderna. Joshua Fleming, il bassista Mark Moncrieff, il batterista Trey Alfaro, il violinista Travis Curry, il chitarrista elettrico Dustin Fleming e il polistrumentista Cory Graves sono fracassoni e caciaroni, ma già su disco questo emergeva, anche se live sono una esplosione incontenibile di vitalità e approcci anche ruffiani. Possono piacere o meno, ma sono una realtà con cui ci si misura. Chi scrive li ha apprezzati sia su disco che on stage, ed è interessante notare che una buona parte del pubblico presente abbia avuto la stessa sensazione, nonostante ormai i concerti siano diventati territorio di frequentazione solo per uno stuolo di aficionados dalle tempie imbiancate. Sorte di resistenti che anche non conoscendo chi si sarebbe esibito hanno voluto essere presenti, decretando il successo di una serata perfettamente riuscita.
Grazie anche all’ADMR che continua a credere che portare musica del genere possa solo fare del bene. A noi spettatori di certo, alle casse dell’organizzazione, forse, un po’ meno.
(Le foto della serata sono di Freddie Matranga)