La forzata sosta di tutti noi nel 2020, e la dolorosa perdita del padre, che affettuosamente lo chiamava, “il mio migliore amico”, hanno portato la cantante, originaria di Boston, e residente nel New England, Kerri Powers, a profonde riflessioni. “Ho scritto le canzoni da un luogo di perdita e di lutto (…), scriverle è stato difficile ma è stata una parte necessaria per la guarigione, alla fine sono state scritte partendo da un luogo di amore per l’umanità e dalla necessità di diffondere il messaggio, che l’amore è essenziale”.
Sono parole di una verità assoluta, ma da parte nostra permetteteci di aggiungere che, purtroppo, l’essere umano, ancora in questi tempi, preferisce farsi del male piuttosto che attuare un pensiero come quello sopraesposto. Kerri Powers non è una esordiente, ha nel curriculum cinque dischi compreso questo, il primo è del 2002 e la stampa musicale si accorse subito delle sue qualità di interprete con una predisposizione schietta sia nei testi, come nel far suo una linearità stilistica con venature di musica nera e bianca. Per questa sua condizione è stata paragonata a colleghe famose come, Lucinda Williams, Bonnie Raitt, Rosanne Cash. È una bella compagnia di artiste che hanno trasmesso e trasmettono, un giovamento nell’ascoltare la loro arte musicale, sapientemente bilanciata fra tormenti personali e momenti più distensivi.
Anche Kerri Powers ha dunque una sua credibilità, prontamente recepita dai musicisti chiamati a suonare nel disco, nomi di un certo peso, ad iniziare dal produttore batterista americano, Marco Giovino (Robert Plant, Tom Jones, Nora Jones sono solo alcuni che lo hanno richiesto). Qualcun altro lo citeremo durante il percorso fra le undici tracce, la prima delle quali è, “Rosie Blue”, una ballata dai toni elettroacustici, dove la Powers si accompagna con la chitarra acustica, affiancata fra gli altri, da Bro Paul Brown (ottimo il suo apporto con l’organo hammond per tutto il disco), e dal chitarrista elettrico Bo Ramsey (ha suonato anche per Lucinda Williams, e di lui abbiamo qualche disco, e un ricordo di un concerto negli anni novanta in un palazzetto in un comune della Brianza con Greg Brown, ancora suo suocero?).
I tempi lenti e medio lenti segnano il passo del disco, la title track, “Morning Glory- Midnight Blue”, qui siamo dalle parti di Lucinda Williams, una blues ballad con lo slide di Bo Ramsey, mentre in, “When It Rains”, con Bonnie Raitt sullo sfondo, c’è ancora un ottimo hammond e la chitarra ora è di Doug Lancio. Kerri Powers non è una che si perde in abbellimenti vocali, in ogni traccia canta con disinvoltura, va diritto alla concretezza come nelle due tracce più marcatamente blues, “Rummage Through My Love”, con le bravissime sorelle McCray, Regina e Ann alle voci, e “Please Call Home” (di Gregg Allman), dove Kerri Powers è seduta al wurlitzer e al piano elettrico, divide la parte cantata con Paul Thorn, e il noto Luther Dickinson si occupa dell’assolo con la chitarra. Con, “Someone Else’s Prayer” e con la conclusiva, “Are We Free”, si torna alle atmosfere da ballata, bella la prima con l’accordion suonato da Charlie Giordano e un sempre encomiabile Marty Ballou al contrabbasso, e intima la seconda, con la brava artista americana seduta al piano. È stato un piacere averla conosciuta.