Ivica Đikić – Metodo Srebrenica
Bottega Errante Edizioni, 2016, Pagg. 275, Euro 17.00, Traduzione di Silvio Ferrari

Condividi:

Non riesco a ricordare in nessun modo cosa stessi facendo in quei giorni di metà luglio del 1995, mentre l’esercito serbo uccideva in massa i prigionieri bosgnacchi di Srebrenica. Ero a casa mia a Tomislavgrad, già Duvno, in Bosnia ed Erzegovina, o forse a Zagabria, dove erano aperte le iscrizioni all’università. […]
Comunque sia, so che le notizie della caduta di Srebrenica, e successivamente quelle dell’inaudita strage, mi avevano solo sfiorato emotivamente, passandomi accanto come quelle persone che conosci da tempo e incroci da sempre, ma con cui non sei mai andato più in là di un saluto di cortesia. […]
Srebrenica anche nei dieci anni successivi rimase per me solo uno dei toponimi dei misfatti balcanici, di quei toponimi che si ricordano spesso, perché sono diventati luoghi comuni, ma appunto come avviene sovente con i luoghi comuni, continuavo a non saperne niente eccetto i riferimenti basilari: l’esercito di Karadžić e Mladić aveva sterminato ottomila bosgnacchi, maschi, civili e soldati.

Chi mai nel pomeriggio e nella sera del 13 luglio e nel corso del 14 luglio 1995 sapeva con certezza e direttamente, oppure poteva motivatamente dedurre che si stesse svolgendo e si stesse preparando l’eliminazione di tutti i bosgnacchi di Srebrenica fatti prigionieri fino ad allora?
Lo sapevano il generale Mladić, comandante del Comando supremo dell’Esercito della Repubblica Serba, e il colonnello Beara, capo della Direzione di sicurezza nel comando supremo. […] Lo sapeva Radovan Karadžić, presidente della Repubblica Serba. Senza il suo consenso non si sarebbe potuta sviluppare l’operazione dell’eccidio. […] É difficile credere che non lo sapesse Slobodan Milošević, presidente della Serbia. […] la cerchia dei settanta-cento uomini – perlopiù ufficiali professionisti, cresciuti nella JNA – che erano totalmente o parzialmente a conoscenza del fatto che si stava preparando un eccidio che, per le sue dimensioni, superava tuti i misfatti visti e sopportati fino ad allora nelle guerre che dall’estate del 1991 si protraevano sulle rovine della Jugoslavia, e tutti i misfatti accaduti sul territorio europeo dopo la Seconda guerra mondiale.[…] Sull’operazione ne sapeva più di tutti il colonnello Beara, dal principio alla fine: ebbe per tutto il tempo di fronte a sé il quadro complessivo e dettagliato della situazione, mentre gli altri avevano una visione generale o particolare dei singoli segmenti dell’operazione.

Ciò che produsse morte alla metà di luglio del 1995 sul territorio di Srebrenica, Bratunac e Zvornik fu un’improvvisata struttura del male, costruita personalmente dal colonnello Beara, e per di più in corso d’opera, per servire allo scopo e per mostrare al generale Mladić e a tutti gli altri di essere capace di organizzare un eccidio di dimensioni inimmaginabili.

Uccisi come su un nastro trasportatore. A sparare erano gli appartenenti al 4° battaglione della brigata di Zvornik e gli uomini della polizia militare della stessa brigata. Drago Nikolić, nonostante la resistenza – tiepida per la verità – del sottotenente Lazar Ristić, comandante del 4° battaglione, riuscì a convincere gli appartenenti a questa formazione a prendere parte alle fucilazioni con la promessa di fornirgli divise nuove. Non dovette fare molta fatica.

Fino alla fine del 2019 sono stati esumati e per la maggior parte identificati e sepolti circa settemilatrecento corpi di bosgnacchi di Srebrenica. Si continuano a cercare i corpi di circa altre mille persone.

Questi sono solo alcuni stralci di un libro sconvolgente. Un “romanzo” documentaristico in cui Đikić spiega come è avvenuto uno dei più tremendi eccidi che la storia ricordi, il tutto a pochi passi da noi e sotto lo sguardo indifferente delle cosiddette “forze di pace”.

Lo sfaldamento della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia é un capitolo della storia per certi versi ancora oscuro a molti. C’entrano la religione (questa c’entra sempre in ogni guerra), la cultura, le tradizioni, la razza. Quello che accadde in quella parte d’Europa tra il 1991 e il 1995 andò ben oltre la spartizione di terre e la riformulazione di confini.

Đikić non spiega “perché” ciò è avvenuto, ma ricostruisce in modo certosino, passo dopo passo, “come” ciò è avvenuto. Ed è proprio mettendo in fila i fatti che emerge la causa principale: un odio radicato da sempre e nutrito in anni di mal tollerata convivenza. C’era da portare avanti una pulizia etnica verso una parte di popolazione che “non aveva diritto” alla vita e alla libertà.

Đikić ha compiuto un mastodontico lavoro di ricerca ed analisi mediante, tra l’altro, lo studio approfondito e dettagliato dai documenti utilizzati e prodotti dal Tribunale internazionale dei crimini dell’Aja.

Romanzo, saggio, reportage, documentario o altro; a pare mio non è assolutamente importante identificare il genere di questo libro, l’importante è leggerlo per “conoscere” e custodirlo per “non dimenticare”.

Condividi: