Ivan Akhmet’ev
Poesia in forma di sogno

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POETICA

Ivan Akhmet’ev è una delle voci più rappresentative della poesia degli ultimi anni dell’era sovietica prima e di quella russa poi.

Nato nel 1950 a Mosca e laureatosi in fisica, ha tuttavia da sempre nella letteratura e nella poesia i suoi reali interessi, tanto che pur di non rischiare di farsi assorbire da una carriera che l’avrebbe allontanato da quella che sentiva essere la sua traiettoria naturale, preferisce dedicarsi, dopo una prima occupazione come ingegnere, a lavori i più disparati, come spazzino, custode, bibliotecario.

La diffusione delle sue poesie negli anni ’80 è legata ad un fenomeno della cultura sovietica, riscoperto negli ultimi anni, al punto di divenire un vero e proprio fenomeno di culto e cioè il Samizdat’.

Samizdat’ è un termine russo, traducibile letteralmente come edito in proprio che in epoca comunista finì per indicare per estensione, qualsiasi pubblicazione, giornalistica, letteraria, saggistica o miscellanea di proclami vari, circolante in clandestinità in quanto avversa al regime. Gli scritti venivano redatti a mano o con macchine per scrivere procurate all’estero (per la maggior parte nei paesi satellite dell’Urss) e quindi con caratteri tipografici non registrati dalle autorità sovietiche a differenza delle macchine prodotte localmente (contrassegnate anche da alcuni piccoli simboli di identificazione) o con macchine locali, ma modificate. La loro diffusione passava attraverso il canale clandestino del passaparola, consegnati a mano tra amici e conoscenti nel mondo della dissidenza, talvolta rilegati fittiziamente con copertine che riproducevano titoli approvati dal regime, talaltra rivestiti con copertine anonime e trascritte su materiale di fortuna, quale ad esempio la carta carbone.

Naturalmente, si trattava di una pratica, come tutte quelle legate alla dissidenza politica, che esponeva i suoi interpreti a rischi non di poco conto, per fortuna di Akhmet’ev ormai attenuatisi nel clima della glasnost’ gorbacioviana: bisogna evidenziare inoltre, come molti dei suoi componimenti siano apparsi sotto l’eteronimo di Ivan Alekseev.

La carriera di Akhmet’ev si snoda attraverso un percorso parallelo di autore, critico e curatore di collane e pubblicazioni di altri autori, con un’attenzione particolare rivolta inizialmente ad altri autori provenienti dalla tradizione del samizdat’, non riuscitisi ad inserire nel circuito della produzione poetica post-sovietica, per poi orientarsi successivamente sulle voci indipendenti nel quadro della nuova poesia russa.

Questa poliedricità rende conto del motivo per cui, nonostante il suo grande spessore poetico, Akhmet’ev abbia pubblicato, dal 1990 ad oggi, solo cinque raccolte – a partire da Miniatjury apparsa appunto nel 1990, fino a Legkaja kniga del 2020 – due sole delle quali pubblicate dopo il 2002 ; d’altro canto, ciò gli ha consentito di rimanere fedele alla sua qualità di scrittura e probabilmente anche di fronteggiare adeguatamente il limite derivante da una certa sua « monocromia » stilistica.

Al di là queste considerazioni, Akhmet’ev rimane senz’altro un grande autore, che trova la sua collocazione naturale nel panorama della tradizione del minimalismo e del concretismo, nel solco della cosiddetta scuola di Lianozov della poesia russa moderna.

Come accade sempre con i grandi poeti, il risalto della figura di Akhmetyev prescinde dalla corrente o dal filone collettivo nel quale si inserisce, per trovare la propria cifra specifica nella qualità della sua capacità di versificazione; è comunque opportuno precisare, come la scuola minimalista russa o ex sovietica, sia comunque caratterizzata da una qualità poetica complessiva importante, per una sua tendenza innata al particolarismo descrittivo, trait d’union che connette in qualche modo la tradizione poetica russa ad un versante della poesia orientale, basti pensare a certa poesia giapponese o cinese.

Nella poetica akhmet’evana si rivela incisiva in particolare, la capacità del poeta di saper creare miniature che catturano da vicino i più piccoli dettagli del discorso, evidenziando il principio poetico che in fondo caratterizza i frammenti del parlato quotidiano rilevandone, al suo interno, dei principi poetici originali.

Quelle di Akhmet’ev sono composizioni che costituiscono vere e proprie monadi di senso poetico, in cui accanto alla chiarezza nitida del contesto ritratto, sfumano, nell’isolamento del particolare rispetto alla cornice fisica, i tratti materiali situazionali, al punto che qualsiasi nucleo narrativo, qui ritratto nella sua dimensione molecolare, può tranquillamente abitare nell’articolazione del sogno o del trascendente, riuscendo a riportarci alla pluralità di scansioni interpretative che qualsiasi elemento del nostro cosmo terreno può assumere, una volta proiettato nell’articolazione dell’indagine antropologica e potremmo dire, archeologica della parola, scavandone in profondità le connessioni sotterranee.

Tuttavia, nel modello di scrittura del poeta russo, queste concrezioni emergono senza alcun intento intellettualistico prefissato, ma bensì in maniera quasi “preanalitica”, intuitiva, affidandosi al suo enorme talento, capace di scegliere, come un vero detective della parola e dell’immagine, quella folgorazione, in grado da sola, proprio con quella parola e quell’immagine, di disvelarci interi mondi di rappresentazione mimetica di storie e visioni profonde, ma recondite, socchiuse nell’ombra della descrizione narrativa o nel breve giro apodittico dell’aforisma.

La poesia di Akhmet’ev è dunque insieme cristallina, definita per la sua chiarezza linguistica e dall’altra aperta, complessa, differenziante, dal punto di vista ermeneutico, perché in fondo spezza i nessi convenzionali di significato, suggerendo anzi nuove possibili aggregazioni di senso, nel rimando infinito della brevitas del suo verso o per i vari giochi di scomposizione sonora ricavabili dalla sua giocosa capacità costruttiva; il tutto finisce per determinare una scrittura autonoma, slegata da qualsiasi “sistema”.

Questa sua tendenza destrutturante, non può non accompagnarsi ad una pungente ironia, ma anche autoironia, come dimostra questa sua risposta in un’intervista, alla domanda sulla sua preferenza per la misura del verso breve: “Negli anni di scuola, certo, ho cominciato a scrivere come tutti. Poi ho scoperto che facevo fatica, mi annoiavo ed ho seguito la linea del maggior piacere della minor resistenza. Ed è venuto il minimalismo”

POESIE

Certo

che sono poeta

i miei versi quasi non esistono.

Puoi essere poeta senza i versi

E idiota coi versi

Quindi

Io

Non ne soffro.

 

………………………………..

 

A lungo

non sapendo che fare

non sapevo

che fare

e pensavo

la cultura e il sesso

e a lungo

pensando così

ho pensato

di sapere che fare.

 

………………………..

 

Non sai

Dio

è’ molto severo ?

Come va

nel suo regno

mica male ?

Consiglio di lettura dell’autore

La poesia di Akhmet’ev non ha ancora trovato la giusta diffusione in Italia, come purtroppo spesso accade nel nostro panorama editoriale, nei confronti di autori contemporanei provenienti da aree geografico-culturali distanti dal nostro panorama mainstream attuale.

Ovviamente, per coloro che parlino o leggano il russo, ma anche l’inglese, oltre ad una vasta bibliografia cartacea, è anche reperibile una grande quantità di materiale in rete, in vari siti di divulgazione poetica e letteraria.

Per chi invece intendesse dedicarsi ad un primo approfondimento in italiano sull’autore, segnaliamo l’articolo (accompagnato da una corposa raccolta antologica) firmato da Paolo Galvagni sul numero 14 della nuova serie della prestigiosa rivista Poesia edita da Crocetti editore e pubblicata nel luglio 2022.

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