E’ meraviglioso quando, durante un lungo periodo in cui sei “ai ferri corti” con la musica poiché da tempo non ti emozioni per nuovi ascolti, scopri un disco che, lo confesso, mi ha fulminato: si tratta degli Hello June e l’album è Artifacts (2023). Loro sono di base un duo guidato da una cantante con una grinta e uno stile belli e distintivi, lei si chiama Sarah Rudy (chitarra/voce solista) che non solo ha una voce superba e calda ma anche un mood bohémien, lui è Whit Alexander (batteria e spesso il basso), si conoscono dal college e si sono ritrovati quando realizzarono, sotto questo brand, il primo disco Hello June (2018). Questo secondo lavoro è prodotto da Roger lan Nichols (chitarra) e Caleb Crosby (batteria).
Artifacts presenta un insieme di brani indie rock roots, ben strutturati e avvincenti, con vocalizzi caldi e suoni curati con precisione. La band del West Virginia costruisce con la scrittura di Sarah canzoni emozionanti, con sentimenti diversi, fede, morte, nascita, disperazione e speranza. Loro Suonano un po’ come Big Thief, Mazzy Star, Courtney Barnett, War on Drugs (fans) ma anche, grazie alla voce di Sarah e al suo modo di usarla, anche come Lucinda Williams.
Sottile, espressivo, denso di fascino a colori pastello e passaggi lunari. La sua voce sommessa e nel contempo profonda conferisce ai suoi testi un fascino irresistibile mentre il suo lavoro con la chitarra, studiato alla perfezione, costruisce singole melodie e riff che sfociano in impetuosi oceani di distorsione. Questa rara combinazione di atmosfere generate dalla chitarra e intimità dei testi è al centro di molti dei brani di Hello June, che trasudano quell’aria di rilassata sicurezza del primo Tom Petty.
Il singolo Interstate, è un brano coraggioso e commovente sulla morte del padre di Rudy, dopo una lunga battaglia contro la dipendenza.
Napkin crea dipendenza, avvolto dalla voce strascicata, da brividi, di Sarah e con quella lap steel assassina sul finale. Faded Blue, con 23 uno dei brani da me preferiti, propone un incrocio tra Petty e Young, una cavalcata a rotta di collo irresistibile.
Le trame e gli arrangiamenti sperimentati dalla band in Artifacts sono caldi e avventurosi. Prendiamo California, che introduce i sintetizzatori appena un po’ New Wave per colorare la canzone. Altrove, canzoni come Honey I Promise e 23 sono rock dinamici che evocano sia i primi Big Thief che Drive-by Truckers. No Easy Answer, altro pezzo forte, è un mid tempo drumming e riff di chitarra in bella evidenza a spingere un cantato superbo. Da ultima la sorpresa di una cover che parrebbe improbabile nel contesto Take Me Home, Country Roads di John Denver qui in una interpretazione rallentata e sognante quasi irriconoscibile ma pregevolissima, questa è classe.
Disco clamoroso, dalla prima all’ultima traccia, un album da avere, non fatevelo sfuggire (anche se da noi il supporto fisico latita ma sono certo che arriverà).
Tracklist:
Sometimes
Honey I Promise
Interstate
Napkin
Faded Blue
23
Soft Love
No Easy Answer
The Moon
California
Take Me Home, Country Roads