Per varie ragioni mi sono trovato di recente a riascoltare la discografia di Giovanni Block e a ripercorrere la sua singolare storia artistica. Credo che riascoltare questo suo secondo album possa essere una buona occasione per farsi un’idea del modo originale di questo artista di stare nel panorama della canzone d’autore: un modo che ha una sua radicalità, se la parola non vi sembra esagerata.
È una storia che va raccontata a partire dal 2011, anno in cui il cantautore vanta un EP (acerbo quanto vi pare, ma segnato già da quel modo di fare le cose, di prendere vie non scontate) e un tot di premi, e in cui dal fortunato incontro con Ettore Caretta nasce quello che poi sarà il suo primo vero album. Il produttore lo porta con sé a Torino, gli mette in studio, con Josh Sanfelici alla regia, musicisti di fama e di spessore (Fabrizio Bosso, Sergio Cammariere…) e insieme fanno il brillantissimo Un posto ideale. L’album è corredato da una serie di video in cui l’immagine del giovane Giovanni Block è quella di un artista ventisettenne con tutto quello che serve per conquistarsi un posticino al sole. E di lì ancora premi, e recensioni, e applausi.
A quel punto lui che fa? Si gioca il momento magico e progetta l’album della consacrazione? Macché. Si prende del tempo.
Continua gli studi (dopo che in gioventù aveva frequentato il conservatorio), quelli di teoria musicale, ma anche quelli di musiche altre. Per fare cosa? Per fare un album in napoletano. Che, a seconda di come la volete vedere, può voler dire una scelta definitivamente autolesionistica, oppure una scelta che salvaguarda un senso.
Infatti nel 2016, a cinque anni da quell’esordio, Block ha spalle sufficientemente forti da sostenere da solo produzione artistica, arrangiamenti e orchestrazione di SPOT, che è un acronimo per Senza Perdere ‘O Tiempo (dopo cinque anni; pensa se lo voleva perdere…). E usa queste prerogative non per consolidare quel tesoretto di successo che si è conquistato (peraltro in un paese e in un mercato discografico che ormai stanno licenziando i cantautori…), ma per affrancarsi da quelle logiche e farsi le regole da sé.
Assumersi la responsabilità di tutti i passaggi del processo creativo non è un lusso, è una necessità artistica, giacché queste canzoni chiedono di suonare in quel modo e non in un altro; chiedono una ricerca di suoni che non siano solo il vestito della musica e chiedono una produzione che non sia l’ultimo anello della catena, perché gli uni e l’altra coincidono con una precisa posizione ideale, sono il riflesso della sua visione del mondo e della musica. Che è una posizione fuori dal perimetro del mainstream, in continuità con i cantautori classici ma vicina a sonorità poco frequentate, non usuali.
E così in SPOT c’è tanto sud, non solo nel senso del Mediterraneo e di Napoli ma anche dell’America Latina. E ci sono frammenti di pianoforte classico e musica da camera, ma anche di Giappone e di Sakamoto. E tutti gli elementi stanno insieme in vari modi, o giustapposti come parti che creano architetture insolite (vedi “‘O mare va truvann’ ‘e forte”, spiazzante nel passaggio dall’intro alla prima strofa), o come timbri particolari che spuntano in contesti che non ti aspetti (come in “Storia di un antico tradimento”, che suona come se Hank Marvin avesse fatto irruzione nella registrazione di una tammurriata).
Napoli c’è anche attraverso la melodia nei suoi mille modi di manifestarsi, dalla canzone classica (“Palomma ‘e notte“, un testo di Salvatore Di Giacomo musicato da Francesco Buongiovanni: l’hanno rifatta tutti i grandi, da Roberto Murolo a Sergio Bruni) a quella alla Peppino Di Capri (che mi viene in mente all’ascolto di “E va a ferni’ semp accussì“), alla melodia screziata di blues (ascoltate “Adda veni’ Baffone” o “Dint all’underground” e misurate il dosaggio di Pino Daniele che contengono: nella seconda, peraltro, che si fa beffe dei vezzi e dei tic linguistici del mercato musicale, gli torna utile anche quella mistura di napoletano e americano dei primi album dell’autore di “Nero a metà”). Oppure la melodia è minimale e introversa: “Core mio” è il gioiello dell’album e vive del dialogo fra la voce di Giovanni Block e quella di Flo, con un risultato di una dolcezza lancinante.
E a proposito di Flo, Napoli è presente anche nella scelta degli ospiti: con lei ci sono anche Francesco Di Bella dei 24 Grana, Moda Loda Broda, Alessio Arena, Batà Ngoma, gli Epo. La presenza di questi ultimi è l’occasione per proporre “Sule” anche in una versione differente, più elettrica. A margine, va detto che è interessante il modo in cui Giovanni Block ci mostra le sue canzoni nel loro divenire: non per niente, se frugate bene, su Soundcloud trovate vari demo e versioni provvisorie di alcune. E anche nell’album successivo, Retrò del 2023, un brano apparirà in un doppio formato.
È una storia importante quella che racconta SPOT. È la storia di un artista che poteva scegliere: essere uno dei tanti enfant prodige della canzone oppure fare un album adulto. E ha fatto la scelta più difficile ma artisticamente più lungimirante.
Tracce
‘O mare va truvann’ ‘e forte
Tiempo ‘e viento
Sule
Adda veni’ Baffone
E va a ferni’ semp accussì
Dint’ all’underground
Senza dicere niente
Storia di un antico tradimento
Core mio
Sule (feat. Epo)
Palomma ‘e notte