Recensire o avere l’ardire di parlare con competenza e autorevolezza, (io tra l’altro da non musicista, neppure dilettante), di un lavoro tanto cospicuo può apparire un po’ presuntuoso, ancora più complicato se a scriverlo è Max Giuliani, un amico che oltretutto scrive per la mia stessa rivista. La sfida comunque è accettata applicando la stessa formula di astrazione che cerco di imbracciare quando affronto i dischi dei musicisti che conosco personalmente.
Preciso che è con colpevole ritardo che parlo di “Gente con la chitarra” in quanto è un libro che sulle prime intimidisce per la sua mole (606 pagine in formato extra large!) ma che, una volta intrapresa la lettura, ti costringe a procedere concentrato sino alla fine, magari andando spesso a rileggere qualcuna delle 33 interviste ad altrettanti virtuosi o abili gestori dello strumento. Da qui i tempi si allungano. Comunque non cadrò nella trappola di svelare i passaggi che più mi hanno catturato perché lascio ai lettori scoprirli ed apprezzarli.
Lo spessore dei contenuti che giustificano l’aggettivo “cospicuo” che ho usato in apertura, sta nel fatto che i 33 artisti intervistati rispondono in modo spesso affascinante e convincente alle domande, stimolati dal fatto che Giuliani le sa porre molto bene, infatti sono sempre personalizzate, ficcanti, stimolanti. Non dobbiamo scordare che, oltre ad essere un apprezzabile chitarrista, porre domande, introitare risposte e rielaborarle è per Max la base del suo mestiere di psicoterapeuta, difficile uscirne a mani vuote. I musicisti incontrati sono (immagino) frutto quasi sempre di conoscenza diretta da parte dell’autore o al massimo ci è arrivato di rimbalzo; chi sono “i manici” interpellati? Anche in questo caso preferisco sciorinare asetticamente l’elenco perché è più neutrale e non comporta classifiche di rilevanza artistica ma neppure dimenticanze per cui eccoli:
Luigi Grechi De Gregori, Andrea Carpi, Stefano Tonelli, Andro Cecovini, Carlo Montoli, Aldo Navazio, Cati Mattea, Claudio Sanfilippo, Miriam Foresti, Andrea Tarquini, Jackie Perkins, Deborah Kooperman, Giorgio Cordini, Lucio Bardi, Beppe Gambetta, Lino Straulino, Mauro Ferrarese, Max De Bernardi & Veronica Sbergia, Marco Pandolfi, Val Bonetti, Anita Camarella & Davide Facchini, Elli De Mon, Roberto Menabò, Aronne Dell’Oro, Gianluca Dessì, Michele Dal Lago, Aldo D’Orrico, Franco Morone, Stefano Barbati, Paola Selva, Nicola Cipriani, Davide Mastrangelo, Reno Brandoni.
Tra di loro c’è chi ha macinato kilometri, consumato corde e dita, cambiato liutai e chitarre più che mutande, è notorio che il chitarrista sia ostentatamente alla ricerca di “quel suono”, il proprio suono, quello che più si attaglia al carattere e allo stile dell’artista stesso ma che, come ben sappiamo, resterà oggetto di ricerca perenne, perché al meglio non c’è mai fine, e allora diventa quasi una ossessione che mai si acqueta ma nel contempo costituisce l’essenza del processo evolutivo di un musicista.
Nel libro troviamo nomi storici, che già dal Folkstudio hanno importato stili, specie da oltre Oceano ma anche di là dalla Manica, che hanno aperto e segnato la via alle generazioni seguenti, e giovani contemporanei di talento che guardano ai “maestri” cercando anche la propria cifra stilistica, insomma un universo di 33 profili (+2 di coppia), ognuno con la propria personalità che dispensano riflessioni, aneddoti, analisi, suggerimenti, tramandano storie epiche intorno al proprio percorso esperienziale e al mondo della Steel String Guitar, sia essa d’impostazione folk, country, bluegrass o blues, spesso accompagnata alla canzone d’autore, a descrizione di un universo che spalanca conoscenza anche a chi come me, povero tapino, è stato uno dei pochi a non imparare a suonare lo strumento principe in quegli dorati anni ’60.
Si perché la chitarra è stata ed è l’amica della condivisione e della gioia amicale e fraterna, quando in gruppo la notte, davanti ai falò accesi sulle spiagge o abbarbicati sulle panchine di un parco urbano, ci si scioglieva in singalong sui brani dei nostri eroi ma è anche lo strumento della malinconia e della solitudine che tiene compagnia e medica l’anima dell’uomo senza esigere ricompense, essa ti restituisce ciò che le dai, nel bene e nel male, insomma rappresenta uno dei caposaldi per fare musica. I protagonisti incontrati da Giuliani parlano di se stessi degli inizi e quelli che sono diventati oggi, i successi e le delusioni, il disincanto, francobollato e neutralizzato dalla passione, che non permette mai di posare lo strumento, di “appenderla al chiodo”. Parlano anche, mai in maniera ipertecnica o noiosa, di corde, di accordature, dei loro riferimenti artistici, insomma ogni intervistato non doppia mai, per contenuti, quelli che lo hanno preceduto, così da rendere la lettura curiosa e avvincente.
Ho elencato i nomi coinvolti, sicuramente sono rimasti fuori dal “girone indagativo” di Giuliani tanti artisti, grandi e piccoli, virtuosi dello strumento e autori che avrebbero detto cose in più o diverse, e su questa via si potrebbe realizzare un’enciclopedia a più volumi, forse potrebbe esserci già la prospettiva per un volume 2, chissà ? del resto la frase dell’autore, in chiusura del libro, lascia trasparire un intento, qualcosa più che uno spiraglio, ce lo auguriamo (anche se immagino che la fatica erculea di Max lo avrà per ora sfinito) ma molto dipenderà anche da noi e dal gradimento che sapremo dare acquisendo e diffondendo tanta sapienza diffusa contenuta in un lavoro che certamente mancava nel panorama editoriale. Provaci ancora Max!