La prigione dei pupazzi mette davvero alla prova chi tenti di descriverlo. Perché è un album che vela mentre mostra, dissimula mentre dice (non è questo d’altra parte il modo che la poesia ha di indurti a guardare più da vicino e più dentro?).
“Dita fumanti sul nylon della verità” canta Gabriele Priolo in un passaggio dell’album, a chiarire che è nell’ostinazione a suonare e a poetare, che è possibile attingere qualche tipo di autenticità. E che la posta nel gioco dello scrivere canzoni non è niente di meno di questo.
L’ultimo album di Gabriele Priolo inizia con l’autobiografica Io, più che un primo capitolo una premessa, l’assunzione di responsabilità di chi, prima di dirti qualcosa sul mondo, mette le cose in chiaro: “questo sono io, sono io quello che parla, tutto quello che dirò ha un senso perché sta dentro questa storia qua”.
Dopodiché tre interludi (Ieri, Oggi, Domani) scandiscono altrettante parti del cd. Così da mettere come cornice una riflessione sul tempo e sul rapporto fra passato, presente e futuro. Sulla memoria che nel qui ed ora si fa identità e visione del mondo; sul passato che diventa chiave per sopravvivere al presente (toh, nella sezione di mezzo i riferimenti musicali sono tutt’altro che contemporanei: sono classici, barocchi, popolari); sul presente che contiene i germi del futuro e gli elementi necessari a immaginarlo, a prepararlo, a guardarlo criticamente e a non subirlo.
E il futuro è un futuro post pandemico in cui le persone hanno ormai riconfigurato le loro distanze (in modo irreversibile?), in cui anche l’amore e il piacere sono consegnati al controllo di un potere invadente.
La musica, che fino a poco prima si muoveva in uno spettro molto ampio e che, pur nelle differenze fra un momento e l’altro, collocava Gabriele Priolo nella migliore tradizione cantautorale italiana, qui si fa estrema, perturbante, post industriale. Le forme si stravolgono rispetto a quanto ascoltato prima: verrebbe da dire che questa sezione è la parte sperimentale dell’album, se non fosse che in un certo senso è tutto il lavoro ad esserlo, nei suoi momenti più invitanti come in quelli più ardui, per il modo in cui entra ed esce da stili differenti a seconda delle esigenze espressive.
La prigione dei pupazzi è un album che cerca dichiaratamente la bellezza e la cerca nella poesia: bellezza non come banale consolazione estetica, ma come forma di insurrezione, di resistenza all’idiozia obbligatoria. Lo fa attraverso undici capitoli (più i tre momenti, come detto, che li introducono) che nel linguaggio e nelle immagini rifuggono l’ordinario, ma soprattutto lo fa attraverso scelte stilistiche centrifughe, che non puntano a qualche genere di unità narrativa o formale, ma anzi esplodono e procedono per moltiplicazione. C’è tanta roba da farti girare la testa, tante idee da camparci artisticamente per tre o quattro dischi. In fondo questa stessa generosa sovrabbondanza, sia nel progetto complessivo (i cambi di ambientazione e di scena) che all’interno di ciascun episodio (la ricchezza e la quantità delle immagini che si avvicendano sullo schermo) è già di suo una dichiarazione di libertà e di rifiuto delle gabbie che il mercato impone alla creatività.
I testi sono spesso tutt’altro che immediati, densi come sono di riferimenti autobiografici, storici, letterari. Ma se ti concedi di stare in ascolto, di farti toccare dalle immagini e attraversare dalle parole, arriva il momento che ti ricompensano con quel verso che ti trafigge e che si guadagna un posticino nella tua antologia personale.
Parliamo di un album ambizioso e complesso di un autore che mostra di avere spalle sufficientemente forti da sostenere sia l’ambizione che la complessità. In virtù di questa capacità di tenere insieme la molteplicità La prigione dei pupazzi ti prende tanto più quanto più sei disponibile a fargli spazio. Ti parla un po’ per volta nell’arco di un po’ di ascolti e arriva, arriva pur senza essere un album semplice: d’altra parte son buoni tutti a cantare di libertà senza prendersi la briga di immaginarla, senza domandarsi quanto si è disposti a metterci del proprio per non consegnarsi a chi muove i pupazzi.
Dicevo all’inizio che è un cd difficile da raccontare, e in effetti non so se sono riuscito a chiarirvi le ragioni di godimento che riserva questo lavoro. Sentite, facciamo così: dimenticate tutto quello che ho scritto. Se vi sta a cuore la canzone d’autore, se vi piace quella musica che vive anche di spessore letterario e di linguaggi metaforici e onirici, qua c’è Gabriele Priolo che è nato in Liguria, è passato per il Club Tenco e oggi è arrivato al quarto album, musicalmente ben scritto e stupendamente arrangiato. Canta con una voce decisamente non usuale ma personale e autorevole e ha la scrittura lucida di alcuni degli artisti migliori che stanno sui vostri scaffali.
Tracce
Io
Ieri
Quaalude (Poeta Criminale)
La Prigione Dei Pupazzi
Oggi
Dra Mort
La Bimba
L’uomo
La Ruta
Tu
Domani
Laser
Android
Volt