Senza timore di esagerare, possiamo definire la nuova raccolta di poesie di Francesco Sassetto, Discanto, un lavoro importante, in quanto ha il grande merito di restituire al panorama della produzione italiana, una poesia di contenuto civile, una poesia che tenti di offrire il proprio contributo alla lettura del groviglio delle dinamiche della società contemporanea, approcciate dall’autore sempre dal punto di vista del gusto per la narrazione poetica delle vicende umane.
La raccolta di Sassetto, poeta eclettico, giunto alla sua sesta silloge (cui si aggiungono vari brani e raccolte presenti in diverse antologie) si dipana come un appassionante caleidoscopio di testimonianze di storie di un’umanità ora indolente ed indifferente (quando inquadrata dal punto di vista di chi può permettersi ancora il lusso dell’omologazione o dell’acquiescenza di fronte alla situazione attuale perché è magari riuscito a ritagliarsi una fetta della grande torta dell’opulenza della nostra società o anche semplicemente perché inebriato dallo scintillio della ricchezza che li circonda, rimanendone magari distante ed anzi essendo magari vittima di questo stato di cose), ora sofferente (quando ripresa dall’angolazione visuale di chi si trova ad affrontare in prima persona le conseguenze di un mondo sempre più diseguale), ma senza mai abbandonarsi ad orientamenti moralistici che possano condizionare il giudizio del lettore.
Al tempo stesso, il poeta dimostra una grande maestria nell’oscillare tra la dimensione pubblica e quella privata, equilibrio sorretto altresì dall’altalena con cui alterna l’uso della lingua italiana e di quella veneziana, registro linguistico cui non è estranea anche una certa dose di sperimentazione (sempre contemperata nell’ambito dell’urgenza del “dire” che caratterizza evidentemente l’afflato di una poesia civile quale quella propostaci da Sassetto), estrinsecata dai componimenti che vedono le due lingue mescolate.
Il gusto della narrazione, evidenziato da un’impostazione prosastica (sicuramente il registro espressivo più efficace per una poesia che, pur non rinunciando al “velo” poetico che qualifica il concetto stesso di poesia, ambisca all’impatto, come è evidentemente per una scrittura impegnata) si estrinseca anche nella tendenza che appare nell’autore al coinvolgimento empatico verso le vicende dei protagonisti delle sue poesie, nel sarcasmo dolente e amaro di cui molti testi fanno mostra, nonché dal gusto dell’ invettiva. Non è peraltro estraneo alla cifra stilistica di Sassetto, un richiamo anche al mondo cantautorale, come evidenziato del resto dal titolo stesso della silloge che si rifà ad uno degli album più importanti di Ivano Fossati.
Come scrive Manuel Cohen, nella prefazione al volume, la poesia di Sassetto “è una zoomata micidiale sull’Italietta ridotta a parodia triste e tragicomica di sé stessa”. Tale effetto è dovuto anche alla struttura della raccolta, divisa in tre parti: la prima si sofferma sulle miserie del nostro paese, mortificato da ormai diversi decenni dall’ignominia dei comportamenti politici, come di molti singoli cittadini, in nome del primato del privato che da sempre è uno dei problemi che maggiormente affliggono la società italiana; risalta in questa prima sezione, il riferimento ai misteri mai risolti degli anni della strategia della tensione (attraverso il richiamo gli attentati all’Italicus, alle strage della stazione di Bologna e di piazza Fontana) ed a quella certa zona buia ed inquietante che li ha accompagnati, per concludersi, a mo’ di controcanto, con le vicende di figure pubbliche edificanti, come quelle di Peppino Impastato o di Pierpaolo Pasolini.
La seconda si indirizza nel senso di una dimensione privata, un diario che registra amarezze e delusioni personali, che non si disgiungono però del tutto dalla sfera del pubblico, perché sono in fondo reazioni anche alla volgarità ed alla prepotenza che caratterizzano certe tendenze della nostra realtà contemporanea; comportamenti che troviamo esternati nei comportamenti sguaiati di alcuni protagonisti dei quadri disegnati dall’autore, come il gondoliere che racconta il suo trasporto per la Thailandia e le sue ragazzine, i turisti mordi e fuggi che affollano le strade di Venezia, l’ostentazione dei vari simboli di un ricchezza ormai addirittura logora e patetica nella sua pacchianeria.
L’ultima parte infine, punta l’obiettivo su vicende di donne comuni, figure che risultano particolarmente significative in questo contesto, in quanto sono proprio le donne che, molto più degli uomini, riescono a testimoniare il disagio per la mortificazione, il senso della frustrazione che si respira nello scenario della vita quotidiana italiana, per quanto non manchino, in verità, anche all’interno di questa rassegna di figure femminili, segni di una certa sguaiatezza da platea da grande fratello.
A tenere insieme i vari ripiani della versificazione di Sassetto, è proprio il discanto, il disincanto e l’amarezza per le speranze disattese, le frustrazioni, che alla fine uniscono tutti i protagonisti delle poesie dell’autore veneto, che si tratti di chi quest’ordine l’ha cercato e perseguito, come di chi lo subisce.
Scrive Monica Guerra nella postfazione: “Inclini ad accontentarsi di ogni deriva, pur di non affondare, si procede giustificando ogni ingiustizia sociale e ogni sua distorsione con un presunto adeguamento al sistema, ma questi versi, in assenza di retorica e con un filo di amara ironia, agiscono come un antidoto all’assuefazione”.
Analogamente, sul puro piano della scena poetica, possiamo affermare che la poesia di Sassetto sia un antidoto rispetto al panorama medio della produzione poetica italiana, caratterizzata dalla mediocrità, frutto soprattutto della centralità nei temi poetici di molti nostri autori, dell’io dominante e del narcisismo, trasposizione in letteratura di quel mondo edonistico che Sassetto stigmatizza risolutamente.