In geografia, una risorgiva è una sorgente di acqua dolce di origine naturale (o talvolta fatta emergere dall’intervento dell’uomo sul territorio) tipica dei terreni di fondovalle o di pianura alluvionale. Penetrando nel sottosuolo, le acque piovane e fluviali, possono tornare in superficie laddove incontrino terreni impermeabili e quando ciò avviene spontaneamente, tale fenomeno prende appunto il nome di risorgiva.
Questo breve sconfinamento nell’ambito geografico è fondamentale per comprendere appieno il volume di Flavio Almerighi che ci accingiamo a presentare, poiché il titolo scelto dall’autore ha un’attinenza stretta con l’origine etimologica del termine, che assume un valore metaforico decisivo per l’interpretazione del disegno su cui poggia non solo la raccolta, ma a ben vedere, l’intera visione poetica dell’autore.
L’impressione che emerge dalla lettura di Risorgive, è quella di di essere di fronte ad una silloge che costituisce un momento importante nella carriera dell’autore romagnolo (Almerighi è infatti di Faenza, dove è nato il 21 gennaio 1959) , che giunto alla sua quindicesima raccolta, sembra voler fare il punto, più che sulla sua produzione poetica (cominciata nel 1999 con la pubblicazione di Allegro improvviso per i tipi di Ibiskos), sul suo rapporto con la poesia oggi, quasi a voler capire se la musa poetica mantenga ancora intatti per il poeta il suo universo di significazione e la sua capacità di rappresentazione mimetica.
Si tratta di un’operazione stimolante dunque, per un duplice ordine di ragioni: da un lato, Almerighi si pone il proposito di interrogarsi sul valore della poesia nel mondo attuale e sulla natura stessa dell’arte della scrittura poetica: sul mestiere, potremmo dire, della creazione poetica e sulla sua duplice essenza di intuizione intellettuale ed insieme costruzione fabrile, materica.
D’altro canto, il percorso che l’autore si prefigge di affrontare, passa inevitabilmente attraverso la dimensione sempre coinvolgente e poeticamente fondante della memoria, tanto personale (poetica ed esistenziale) quanto collettiva.
Del resto Almerighi, poeta nel quale la componente tellurica ricopre un ruolo fondamentale, ha da sempre intrattenuto un rapporto privilegiato con la memoria, partendo da quella della sua terra, l’entroterra romagnolo (con la sua ricchezza di intrecci storici ed antropologici) che, scevro da qualsivoglia coloritura provincialistica, assume la declinazione di un osservatorio universale della condizione umana, sorta di cartografia della costruzione della parola poetica. C’è sicuramente il riflesso della Romagna di Tonino Guerra (al netto della differenza lirica legata all’uso da parte di quest’ultimo dell’idioma locale), ma in fondo la Romagna di Almerighi non è distante dall’Irlanda di Yeats o dai paesaggi svedesi di Tranströmer.
Peraltro, la capacità del poeta romagnolo di saper leggere olisticamente i segmenti storici, lo conduce con grande facilità e con identica capacità a trasmigrare dalla memoria antropologica a quella civile, scandita da diverse pagine che accompagnano la sua produzione poetica fin dalle prime raccolte.
Interrogandosi sul ruolo della poesia e sul senso ontologico della scrittura poetica, Almerighi ripercorre anche, inevitabilmente, vicende e tappe della sua storia personale di poeta, per meglio chiarire e decifrare il senso della sua vocazione alla scrittura, tappe che riaffiorano dalla sua penna, riflettendo il senso di prodigio inatteso con cui le acque risorgive sgorgano spontaneamente dal sottosuolo.
Quello di Flavio Almerighi in Risorgive è dunque un itinerario che si snoda come un vero happening, combinando pagine di storia e poesia che abbattono i limiti convenzionali di tempo, alla ricerca delle costanti, delle fondamenta, delle connessioni profonde che sottendono la parabola dell’umana esperienza, ribadendo la centralità del ruolo della poesia come strumento ontologico della sua riflessione intellettuale.
Il nucleo essenziale attorno a cui ruota la concezione di questo lavoro, emerge subito emblematicamente in apertura del volume, dapprima nel brano intitolato Quando il poeta scrive, in cui il poeta romagnolo chiarisce senza ombra di dubbio l’essenza dapprima poietica (Quando un uomo scrive/non vive,/riepiloga l’inventario/del fieno chiuso in cascina/col senso di possesso/del leone affamato) ed infine antropologica e mitico-salvifica della vocazione poetica (sono mio padre/e il contrario di lui,/perché in ogni contraddire/sta il valore di un figlio/che disonora il padre/per poterlo salvare); ed in seguito con il secondo capitolo, Al mio tempo, che evidenzia la necessità, per un’ispirazione poetica che punti a farsi riproduzione mimetica, di navigare negli orizzonti di una storia senza tempo: Qui non si vede quasi mai nessuno./I pomeriggi partite a scacchi/i pezzi caduti lasciati agli avvoltoi. /Anche i cani abbaiano tra loro senza vedersi, /marcare il territorio non include conoscenza.
La scrittura di Almerighi trova la sua cifra specifica in una versificazione che riesce, nella ricchezza immediata delle immagini che scaturiscono dalla sua penna, a centrare il cuore della narrazione e della rappresentazione in maniera perentoria, nel giro di un verso ristretto (sembra ottenuto quasi per sottrazione di materia) di grande efficacia, pur mantenendo, la sua impostazione poetica, il respiro ambizioso e “largo” del poema, sottolineato dalla portata dei nuclei tematici affrontati.
Quella di Flavio Almerighi è una scrittura che non fa sconti agli stilemi ruffiani del momento, sempre attenta alla sobrietà ed all'”avalutatività” moralistica, qualsiasi argomento o scenario tocchi, preferendo soffermarsi sulla “pennellata poetica”, nella quale dimostra ormai una maestria consolidata nel tempo. Risorgive sembra in qualche modo ricollegarsi anche all’abitudine all’ascolto della grande musica rock, che Almerighi frequenta fin dall’età giovanile, nella sua capacità di graffiare nella rappresentazione delle inquietudini che costellano il nostro tempo, le cui spiegazioni il poeta ritrova nelle sue cavalcate storiche.
Siamo certamente di fronte ad un lavoro che non si offre a chi ricerchi l’eco della poesia consolatoria, egolatrica, così in voga oggi, per richiedere un’approccio maturo e profondo, nella convinzione che la poesia possa, ancora ai giorni nostri, proporre spazi di scandagliamento approfondito sul mondo, nel solco più nobile dell’arte poetica, rispondendo decisamente in modo affermativo al quesito iniziale sulla validità del messaggio poetico nel nostro tempo.