Enrico Scerra è calabrese e vive in Svizzera e, anche per via di un padre appassionato che frequentava i maestri della chitarra, fin da bambino ha avuto modo di conoscerli, di guardarli da vicino e di imparare direttamente da loro. Si è fatto apprezzare da — per dirne un paio — Woody Mann e Duck Baker, che lo ha coinvolto in un progetto che potrebbe vedere la luce l’anno prossimo e di cui Scerra ha in questi giorni reso pubblica un’anticipazione. Sempre per farvi un esempio, qualche sera fa, mentre cercavo di contattarlo nei social per chiedergli alcune informazioni per questa recensione, lui era su un palco da qualche parte a suonare insieme a Eric Lugosch.
Vi bastano queste premesse per decidere di cercare questo cd d’esordio? Ah, fate i difficili. Ma il punto principale è l’uso che Enrico Scerra ha fatto della lezione di tutti i suoi maestri. Acoustic Journey (ve ne parlo oggi anche se è del 2020) testimonia il modo in cui questo giovane artista ha interpretato la missione impossibile delle generazioni di chitarristi arrivati dopo i padri, cioè quella di raccogliere la loro eredità per dire qualcosa di proprio.
La musica composta da Enrico Scerra è una musica fatta di linee di fuga. Ti dà l’impressione di sapere dove ti trovi e poi invece ti fa partire verso direzioni inattese. Le stesse accordature alternative che usa in alcuni casi (EAC#EBC# in due brani, CGCGCD in altri due), si presentano fondamentalmente come accordature aperte piuttosto tipiche, senonché contengono quella nota in più, quel nono grado che rompe lo schema e allarga a dismisura lo spazio di possibilità.
In quello spazio di possibilità che è Acoustic Journey puoi trovare dei pezzi che possono essere difficili da definire, ma se ci guardi dentro ci trovi quell’arte delle variazioni che viene da Reverend Gary Davis e che qui però è calata dentro strutture più complesse (vedi “Animo mite”). Ti puoi imbattere in un brano che ha il passo e la struttura di una danza popolare irlandese senza esserlo (“Perseveranza”) o che comincia come un blues anomalo per poi cambiare forma come fosse in un quadro di Escher (“Rotta di collisione”). O, ancora, brani in cui possono avvicendarsi differenti tecniche di picking tanto da scaraventarti da un clima morbido in una specie di bluegrass incandescente (“Sintonia inattesa”).
Non mancano i momenti che rimandano a quell’estetica, come dire?, “post-Windham Hill” che cerca vie melodiche per la chitarra solista. Ma anche quando frequenta quei territori Enrico Scerra si libra al di sopra dei luoghi comuni del genere, dotando le sue composizioni di una struttura più solida e interessante. Forse perché la sua ricerca guarda, più che alla pulizia del suono come valore assoluto, all’aspetto compositivo e alle architetture — che mi pare la caratteristica rilevante del suo modo di fare musica.
Dicevamo degli artisti che sono stati importanti nella formazione di Enrico: nell’album ci sono riferimenti più o meno espliciti ad altri nomi del suo pantheon, e ciascuno di loro ha una storia che coincide con una presa di posizione sul rapporto fra la memoria e il futuro. “M. Martino” è dedicata a Mimmo Martino dei Mattanza, musicista e ricercatore calabrese morto quasi nove anni fa. “Salti alla porta” è costruita sul più classico dei fingerpicking e sembra un omaggio alla musica di John Fahey, di Leo Kottke e di Peter Lang.
Spiace solo che l’album si presenti in una veste un po’ anonima, con un titolo e una copertina che non caratterizzano l’autore e sembrano pensati piuttosto per un rapido orientamento del pubblico della “guitar music” di adesso. E invece siamo davanti a un musicista che ha storie da raccontare, ha una personalità musicale in evoluzione ma già in grado di dire la propria ad alta voce. L’auspicio è che Enrico scelga di esporsi di più col suo mondo in un prossimo album che, ci sembra di capire, non dovrebbe essere molto lontano. Perché poi le architetture sorprendenti, la capacità di interpretare con una voce originale la storia dello strumento, l’intelligenza compositiva, difficilmente volerebbero più alto di un gioco cerebrale se non fosse per la cosa più importante, cioè l’universo poetico e creativo che Acoustic Journey ti svela.
Enrco Scerra sa suonare ma non sta lì a ricordartelo continuamente. Non c’è un momento nel disco, non uno, in cui ti dica “ehi, guarda qua cosa so fare”. E il suo debutto è bello assai, si ascolta con piacere e in molti momenti ti regala quello che in fin dei conti chiedi a un album del genere, cioè niente di meno che un po’ di magia. Almeno, per chi ascoltando un chitarrista abbia voglia di riconoscere la differenza tra la magia e la prestidigitazione — se capite cosa voglio dire.
Tracce
Animo Mite
Perseveranza
M. Martino
Salti alla porta
Rotta di collisione
Leggerezza
Paesaggio sonoro
Sintonia inattesa
Zusammen