Cloé Mehdi – Nulla si perde
Edizioni E/O - 2020 - Pagg. 285 - Traduzione di Giovanni Zucca

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Ho letto questo romanzo ormai da qualche mese, ma mi ha lasciato così tanto che è nata in me la voglia di scriverne e farlo conoscere a chi non lo ha ancora trovato.

E’ bastato riprenderlo in mano per rituffarmi immediatamente nel tragico mondo di Mattia, il bambino undicenne protagonista della storia narrata. Siamo nella banlieue parigina, un luogo di non vita quasi, piuttosto un posto in cui si può solo sopravvivere imparando a schivare la violenza, quella di tutti i luoghi in cui è la padrona indiscussa di strade e vite.

Mattia è stato abbandonato da entrambi i genitori, anche se in modi molto differenti, ed è stato affidato a Zé, un giovane di estrazione borghese che paga da anni la colpa di essersi trovato nel posto sbagliato in occasione di un atto tragico, la morte di una sua coetanea. Zé non è più stato lo stesso dopo questo evento e il suo stato depressivo lo ha condotto allo Charcot, ospedale psichiatrico di Parigi. Dopo questa esperienza, Zé non può tornare a vivere nella sua casa dorata e vuole vicino a sé esseri fragili e incompiuti come si sente lui. E’ così che lotta per mantenere la custodia di Mattia ed è anche questa sua sensibilità estrema a fargli scegliere come compagna di vita Gabrielle, una ragazza che vive nascosta e rinchiusa per evitare il ricovero coatto in seguito a diversi suoi tentativi di suicidio. Tutto questo mondo traballante, che Zé cerca di sostenere barcamenandosi tra il lavoro e la cura di queste due creature amate, subirà uno scossone in seguito alla comparsa, sui muri di periferia, di graffiti che ricordano la brutale uccisione di Said, un adolescente morto quindici anni prima in seguito alle percosse subite da parte di un poliziotto che non pagherà mai per la sua colpa.

La trama del romanzo è indubbiamente avvincente, si tinge di tinte noir e non annoia mai, ma ciò che io ne ho amato maggiormente sono i personaggi descritti: Mattia, un bambino già adulto, che deve badare a se stesso, che vuole sapere e capire il mondo, che cerca solo affetto e cura e lotta affinché la sua esistenza trovi un centro di gravità che lo faccia sentire al sicuro.

Zé, uomo fragile, uomo ferito, fiaccato dalla vita, che si ostina a proteggere le persone che ama, che diventa lo scudo di latta dietro cui mettere al riparo il figlio di un compagno di sventura e la donna che ama, pur nella disperata consapevolezza della estraneità alla vita di lei. Zé, che ha conosciuto la reclusione dello Charcot e vuole tenerne lontana la sua Gabrielle

“E ve lo ricordate tutti e due com’era, dietro quelle mura così alte. Niente lobotomia, né elettrochoc, niente camicia di forza, solo la contenzione, la terapia TEC e soprattutto la reclusione. Non c’eravate arrivati di vostra spontanea volontà. E in un attimo i vostri corpi non erano più vostri. Peggio. Vi strappavano via le vostre stesse emozioni, le cacciavano alla rinfusa nel frullatore della psicopatologia clinica, e ve le restituivano irriconoscibili, cacciandovele in gola con l’imbuto a ogni colloquio, un quarto d’ora una volta alla settimana con i vostri rispettivi psichiatri”.

Infine Gabrielle, creatura fragile, dolce, disperata, che non riesce a sopportare il peso dell’esistenza che le è toccata in sorte e tenta di sfuggirle facendosi del male.

“Fai un po’ di zapping, Gabrielle. Continua a dirglielo: staccati dagli incubi del mondo. Gli altri riescono a sormontare la merda in cui si trovano pescando un po’ di felicità dove capita, nelle loro vite, e riescono a tirarsi fuori da tutta la schifezza che li circonda. Gabrielle no. E’ questo che la uccide. Non sarà mai felice, finché rimarrà sulla terra una sola persona infelice”.

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