Bianca Bellová – Il Lago
Miraggi Edizioni - 2017 - Pagg. 185 - Traduzione di Laura Angeloni

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Avevo sentito parlare di questo romanzo sempre in termini positivi e, da estimatrice delle edizioni della casa editrice indipendente Miraggi e da amante delle traduzioni di Laura Angeloni, mi sono decisa ad affrontarlo.
Non ero pronta per quello che vi ho trovato, per seguire i passi e la crescita di Nami, il suo sradicamento, i suoi dolori, il disorientamento di coloro che, come lui, perdono completamente il contatto con le proprie radici.

Nami è un bambino senza madre né padre, che viene cresciuto dai nonni che lo lasceranno molto presto. Conoscerà la violenza, la segregazione, la solitudine e deciderà, dopo aver assistito ad un terribile stupro, di fuggire da Boros, un piccolo centro sulla riva di questo lago sempre presente nella sua vita.
Non sappiamo bene dove ci troviamo, i riferimenti ad una terra ricca di petrolio e alla presenza di cittadini e soldati russi nella storia, ci fa pensare ad un paese sotto il dominio dell’ex Unione Sovietica, ma definire esattamente il luogo in cui si svolge la vicenda è secondario in realtà.
Il lago è una presenza inquietante, inquinato, putrido, uno specchio di acqua contaminata da radiazioni nucleari, nel quale immergersi lascia ai bagnanti macchie della pelle e prurito diffuso. Nell’avanzare del racconto il lago subisce un graduale prosciugamento a seguito del quale emergeranno dal fango carcasse di barche, elettrodomestici, oggetti perduti e corpi umani; il lago vomita storie passate e dimenticate, oggetti che le persone amano ritrovare o si rifiutano di ricordare perché legati a dolori insostenibili.
Gli abitanti di Boros sono primitivi, figli di una cultura primordiale che non conosce giustizia se non intrisa di sangue e vivono perpetrando la storia dello Spirito del lago, un essere capriccioso che, arrabbiandosi, pretende sacrifici e scatena vendette che si devono scontare con rassegnazione.

Nami scappa da questa realtà soffocante e arriva nella capitale:

“La borsa del lavoro è costituita da tre file di uomini, a volte quattro, che vestono tutti i colori della tristezza e portano addosso la stessa puzza di umanità e biancheria sporca. Silenziosi e rassegnati, stanno lì, lo sguardo a terra. Le mani callose, impregnate di sporcizia eterna, sono serrate a pugno.”

Il ragazzo troverà qui lavori umili, faticosi, pericolosi e incontrerà personaggi ambigui tra operai e uomini loschi arricchiti con traffici illeciti. Nami è completamente solo, un adolescente che impara ad arrangiarsi, che non si tira indietro davanti alla fatica di lavori mal pagati, per svolgere i quali viene in contatto anche con sostanze pericolose e macchinari insicuri. Nella capitale conoscerà la complicità di un amico, scoprirà il sesso, affronterà con coraggio una situazione che ritiene ingiusta, ma il suo cammino deve continuare, deve riprendere la strada verso la ricerca di sé e delle sue radici.
Questo cammino sarà tortuoso ma circolare; Nami crescerà e dovrà necessariamente tornare dal punto in cui è partito.

Lo svolgersi della storia di questo ragazzo è accompagnata da descrizioni molto dettagliate di un paesaggio ostile, brullo e polveroso, dove non esistono boschi o aria e acqua pulite, un ambiente che è specchio di asprezze umane, conflitti e povertà di emozioni positive. Il lago, ma anche il deserto asciutto e secco, sono il perfetto riflesso di chi vi vive, protagonisti del romanzo al pari dei vari personaggi.

Nami percorre la strada polverosa verso il canale di irrigazione, lo riconosce da lontano perché è costeggiato da cardi verdi. A sinistra del canale c’è un deserto arido, fino all’orizzonte alberi secchi. A destra, fin dove l’occhio arriva a vedere, i campi con la bianca lanuggine dei fiori di cotone. […]
Nel condotto di irrigazione in cemento largo tre metri l’acqua è immobile. Non è esattamente pulita, e nemmeno fredda, eppure rinfresca. […]
Si sdraia e respira la polvere. Il sole gli brucia gli occhi, dunque li chiude.

Protagonista indiscussa del romanzo è la meravigliosa scrittura della Bellová, un fraseggio che emoziona, descrive, scava. Ci sono brani che costringono a fermarsi per stornare gli occhi dalla violenza di certe scene, dalla profondità di certi abissi, ma la lingua incanta, ti riattrae a sé e ti costringe a tornare a leggere.
Un romanzo la cui indiscussa fama positiva è più che meritata, insomma, un testo che consiglio calorosamente a chiunque ricerchi in un libro una storia toccante ed una scrittura sublime.

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