Ci voleva Bob Dylan per portarmi per la prima volta al MAXXI di Roma e devo subito dire che il connubio ha suscitato in me grande emozione. Il meraviglioso progetto della grande e mai abbastanza compianta architetta Zaha Hadid ha ospitato la sorprendente mostra curata da Shai Baitel, direttore artistico del Modern Art Museum (MAM) di Shanghai e co-fondatore di Mana Contemporary (Chicago, Jersey City e Miami), il più grande centro artistico del suo genere e un hub per artisti e collezionisti.
Baitel ha ideato Retrospectrum, la mostra retrospettiva di Bob Dylan, nel 2019 e la realizzazione al MAXXI costituisce la prima europea e già questo dovrebbe rendere ghiotta e imperdibile l’esposizione.
“Nel momento storico incerto e complesso in cui viviamo, sentiamo il bisogno di artisti in grado di collegarci al passato e al presente, rinnovando la promessa di una continuità e di un futuro pieno di speranza.
Bob Dylan è una di queste voci.”
Shai Baitel
Basterebbe questa affermazione del curatore per farci capire quanto il Premio Nobel, con la propria poliedricità artistica, sia funzionale per interpretare questo tempo. Ma andiamo oltre, parliamo dei contenuti della mostra:
Si entra e alla biglietteria si rimane avvolti in irreale silenzio ammaliati dalle morbide spire delle alte scale che attraversano, sopra la testa degli astanti, i vertiginosi spazi aerei della hall pensati dal genio architettonico della Hadid e, fatto l’economico biglietto (bonus!), saliamo al terzo piano dove si accede all’allestimento.
“Tutto quello che posso fare è essere me stesso: chiunque io sia.”
Bob Dylan intervista maggio 1965
Per un Dylaniato della prima ora come il sottoscritto il fatto che Bob Dylan si applicasse da tempo anche all’arte pittorica, e alla “scultura metallica”, era notorio ma mai avevo avuto la curiosità di valutare anche solo online i suoi quadri e quindi la visita è stata un’orgiastica esperienza emozionale che, come ho avuto modo di dire fin da subito, ha costituito sorpresa, non tanto per una tecnica che definirei per qualche aspetto dilettantesca o almeno istintiva, ma per la talentuosa abilità che Dylan, attraverso la pennellata, la luce (protagonista) e il mood impressionistico-fumettista che mette nei suoi quadri e disegni a quel punto capaci di trasmettere emozione ed immersione totale nelle situazioni che ritrae, dove protagonista è la sua America, quella della sua gioventù e lo fa rappresentandola attraverso strade senza confini, motel, camion, auto, squarci della grande metropoli, locali notturni, pubblicità oppure inquadrature tratte da film epocali.
Il percorso è suddiviso in otto sezioni che ripercorrono il viaggio intrapreso da Bob nel mondo dell’arte visiva e, contemporaneamente, consentono di entrare in sintonia con la sua abilità creativa di musicista, poeta e artista globale, in estrema sintesi sono le seguenti:
Early Works
Primi disegni con i quali Dylan nel 1973 accompagnava i brani musicali scritti tra il ’61 e il ’72 e che pubblicò in un volume intitolato Writings and Drawings.
The Beaten Path
Ritratto del paesaggio americano attraverso le Secondary Roads i suoi luoghi, scene di vita quotidiana e i suoi personaggi, ecco allora prendere corpo piccoli schizzi su carta e grandi dipinti acrilici su tela che l’artista introduce così:
“La prima idea per questa serie di dipinti è stata quella di creare immagini che non si presentassero a essere male interpretate o fraintese, da me o da altri. Le opere sono accomunate dallo stesso tema: il paesaggio americano come lo si vede attraversando il paese, osservandolo per quello che è. Restando fuori dalle grandi arterie e percorrendo solo strade secondarie, in totale libertà.” B. D.
Mondo Scripto
Cosa fa di un disegno un buon disegno?
Le linee giuste nei punti giusti.
Cosa fa di un testo un buon testo?
Le parole giuste all’interno della giusta melodia.
Bob Dylan
Parole di disarmante semplicità, quasi ovvie, per introdurre alcuni dei testi più noti, trascritti (e anche spesso modificati) vergati di proprio pugno e affiancati a suoi disegni a grafite.
Revisionist
Originale reinterpretazione grafica in serigrafia, tra vero e verosimile, delle copertine di famosi magazine come Rolling Stone o Playboy, un processo artistico innovativo ed enigmatico ma, forse, proprio per questo è stata la sezione che mi è risultata meno coinvolgente.
The Drawn Blank
Tra l’89 e il ’92, durante il tour mondiale il nostro realizza schizzi a matita, penna o carboncino che gli serviranno come ispirazione per futuri dipinti. Questa risulta una sezione importante in quanto Dylan coglie istantaneamente immagini e impressioni derivanti da incontri con luoghi, persone e culture diverse, inoltre questa abitudine in pratica genera un diario di viaggio.
New Orleans
“ci sono molti posti che mi piacciono, ma nessuno come New Orleans. Questa città offre in ogni momento mille angolazioni diverse da cui guardarla … qui nessun comportamento sembra fuori luogo. La città è un’unica, lunghissima poesia” B. D.
Il legame dell’artista con la città simbolo del jazz, posta alla fine meridionale della Route 61, la strada del Blues, si riscontra nei colori scuri e freddi dei dipinti che rappresentano l’anima black della città.
Deep Focus
La strepitosa serie di dipinti che anima questa sezione sono costituiti da spunti ed immagini tratte da film e il titolo stesso del comparto è un termine tecnico che si riferisce a una tecnica cinematografica in cui la narrazione è il risultato della combinazione di primo piano, secondo piano e sfondo, tutti contemporaneamente a fuoco per poterne distinguere i dettagli a ogni profondità. Anche questa parte è molto suggestiva e ci conferma l’occhio attento e la capacità dell’autore nel cogliere particolari tagli dell’immagine e inquadrature.
Ironworks
Last but not least la sua passione per il ferro, elemento con cui Dylan ha vissuto fin da bambino essendo cresciuto in un’area nota come Iron Range, una realtà industriale fatta di camion, operai e miniere. Nella sua affermazione, qui di seguito riportata,risiede il senso di questi elaborati che recuperano pezzi di cancelli, ingranaggi, strumenti e oggetti del passato e che, uniti tra di loro con saldature che egli stesso esegue, vanno a costituire sculture strambe, sghembe, forse un po’ stravaganti del resto come lo è come l’esecutore.
“I cancelli mi affascinano per lo spazio negativo che offrono. Possono essere chiusi, ma allo stesso tempo permettono alle stagioni e alle brezze di entrare e fluire. Possono chiuderti fuori o chiuderti dentro. E, in un certo senso, non fa alcuna differenza.” B. D.
Ultima annotazione pittorica, Bob Dylan nella titolazione del quadro che raffigura Trinità dei Monti lo nomina così: “When I Paint My Masterpiece”, forse sarà stato anche un po’ piacione ma giustifica la sua grande soddisfazione espressa per la prima europea a Roma, città che ama particolarmente.
Durante la “promenade” si incontrano, uno all’ingresso e uno più avanti verso la fine del percorso, due maxi schermi che proiettano video, stralci di concerti, interventi di Bob, materiale già ampiamente visto che però crea piacevoli momenti d’incontro con l’artista.
Il catalogo della mostra in formato grande 27×32 edito da Skira è davvero splendido e contiene oltre alla maggioranza di foto delle opere anche ampie introduzioni alle sezioni a cura di ospiti che amano Bob Dylan ad iniziare dalla ex Presidente del MAXXI Giovanna Melandri che ha voluto fortemente questa esposizione ma anche stralci da interviste a Dylan e brani tratti da Chronicles Volume One. Assolutamente imperdibile !
“Credo che la chiave del futuro risieda nelle vestigia del passato. Che occorra padroneggiare gli idiomi del proprio tempo prima di poter assumere un’identità nel presente. Il tuo passato inizia il giorno in cui nasci e ignorarlo significa tradire la tua stessa essenza.” B. D
© Hélène Binet