È una piccola storia importante dentro la storia della nostra canzone d’autore, sebbene poco nota fuori dai confini della regione, quella di un pugno di musicisti che praticano una via per la canzone d’autore che passi attraverso la lingua friulana e della Carnia in particolare. È una storia che parte da gente come Lino Straulino e Loris Vescovo e attraversa la generazione successiva, quella di Massimo Silverio e, eccolo, di Alvise Nodale.
È una storia che passa dalla lezione del folk inglese e di CSN&Y, e passa anche da De André: qualcuno di voi ricorderà Canti randagi, tributo del 1995 al cantautore genovese da parte dei gruppi che qualche decennio fa animavano una scena di folk revival italiano che presto si sarebbe dispersa dopo un breve ma intenso periodo di splendore e che ebbe in quel cd il momento di massima visibilità: fra gli altri c’era La Sedon Salvadie, ensemble che ha segnato un prima e un dopo nella musica friulana, che interpretava una versione del “Canto del servo pastore” riambientata in Friuli (“Cjant dal pastor”).
Alvise Nodale lo conobbi, giovanissimo e già fine chitarrista, nel progetto di Lino Straulino Villandorme. Era alle prese con quel repertorio folk che per Straulino, sin dalla sua uscita da La Sedon, era il campo sul quale far fiorire un modo di scrivere canzoni nuovo e antico insieme.
Oggi quel percorso passa anche da questi suoi dieci brani — nove canzoni e uno strumentale — che escono stamattina, 21 giugno, e perdonate la lunga premessa, ma andava detto che Gotes viene da una storia — e che storia.
Gotes nasce grazie ad alcuni fortunati incontri, fra cui quello con Edoardo De Angelis, in occasione di una residenza artistica che il cantautore romano organizza annualmente con l’associazione culturale CulturArti a Prato Carnico. De Angelis si è appassionato al lavoro del giovane artista e oggi cura la produzione artistica del suo nuovo album. Un produttore presente, ma di una presenza “leggera” e rispettosa del progetto, determinante anzi nel garantire uno spazio di libertà ad Alvise, nel supportarlo nelle scelte a cominciare da quella dei brani, alcuni dei quali trovano casa ora dopo anni, e mettendoci di suo una lunga esperienza di studio, di dischi e di canzoni. La produzione valorizza l’impronta dell’autore, che sta tutta nella sua voce, nella sua chitarra e in quel suo modo di far convivere suoni e silenzi. Dove il silenzio forse è il silenzio delle montagne della sua Carnia, quel tipo di silenzio che ti permette di stare in ascolto: quella di Alvise è una musica fatta di pause e sussurri, in cui toccare una corda in un modo o in un altro fa tutta la differenza del mondo.
Che l’approccio sia per sottrazione non vuol dire che Gotes sia un album statico o monocorde, anzi, il lavoro di scrittura e arrangiamento è pregevole. Alvise oltre a cantare e suonare le chitarre è al mandolino, all’harmonium e alle percussioni; brillano gli interventi del violoncello di Stefano Cabrera e della voce di Flavia Barbacetto e tutto è animato da sprazzi di luce che irrompono nella penombra. Però sì, certamente quella di Gotes è una musica che sceglie di parlare piano.
È una musica di immagini, e in questo senso è molto bello il video di “Sunsûr” realizzato da Federico Gallo (vedi in fondo a questo articolo), che ha anticipato di pochi giorni il cd. È girato in un semibuio nel quale si distinguono appena la chitarra e Alvise (in quest’ordine) e in cui spetta ai versi accendere luci e colori (“Resta con me Ninina, resta finché fa chiaro“) anche attraverso figure retoriche potenti: “si sente il tramonto tacere”, “il sussurro dell’alba”. D’altra parte metafore sensoriali — cromatiche, uditive, tattili persino — percorrono tutte le canzoni: può essere uno spiraglio di luce dalla finestra aperta, o il vento che soffia sulla pelle, o che chiama a sé le foglie gialle, o il freddo dell’inverno. Possono essere occhi che guardano nello specchio, o che guardano il cielo, o forse il cielo che guarda noi, quel cielo che a volte sbaglia colore. Può essere il momento in cui il giorno sfuma nella notte, o viceversa. E i colori non sono mai sgargianti, sono in chiaroscuro, al massimo sono tinte pastello, tenui, comunque mai sature.
Questo giocare con i sensi, questo gusto quasi sinestesico di descrivere colori come suoni e suoni come luci va emergendo come una caratteristica distintiva della scrittura di Alvise a cui forse non è estranea la poesia della sua terra — il suo precedente Zornant, fatto di nove brani tradizionali, faceva sin dal titolo riferimento al momento in cui fa giorno, dove zornâ, il far giorno, finisce per indicare per metonimia il canto degli uccelli alle prime luci.
È uno degli aspetti della sua poetica, che in quest’album raggiunge un bel grado di solidità e di maturità. Questo vale anche per l’Alvise chitarrista: il suo stile nel tessere arpeggi intorno alle parole è cresciuto ed ha acquisito eleganza ed efficacia da un album all’altro. Qui si concede la pausa di un brano strumentale, che è quello che intitola tutto il cd, dove le “gocce” del titolo sono evocate anche senza le parole — quelle stille di suoni armonici in apertura e in chiusura — e che è una piccola tavolozza dove ritrovare tutti i colori del cd.
In Gotes questo bagaglio è al servizio di canzoni che parlano di sentimenti personali, intimi, al crocevia fra il racconto di sé e quello del mondo da cui attinge. E infatti non sarebbe potuto nascere in un altro posto, e non sarebbe la stessa cosa senza il suono della lingua carnica. Non è questione di nostalgia, Alvise ha scritto in passato anche in italiano, ma il punto è come la lingua madre riesce a raccontare emozioni così fisiche, così antiche. Avvicinarsi a questi testi di non immediata comprensione ma dalla musicalità irresistibile è un piccolo sforzo che accresce nell’ascoltatore l’esperienza di scoperta, un po’ alla volta, del mondo dell’autore. E in aiuto viene il libretto interno, con i testi e con le traduzioni italiane.
E così Gotes è disponibile da stamattina su tutte le piattaforme digitali. C’è anche in formato fisico, distribuito nei negozi e negli store online da Egea Music.
Tracce
L’ore
Luntan
Sunsûr
Ricuarts
Gotes
Se…
Cuintrevint
Invier
Il spieili
Un âti mâr